Mai avremmo immaginato di sentirci così vicini alla Cgil come in queste ore. Vedere la propria sede (o abitazione) assaltata e saccheggiata è un dolore che nessuno, associazione o privato cittadino, dovrebbe mai provare. Una violenza inaudita, inaccettabile.
Peccato solo che quando ad essere assaltate o vandalizzate sono le sedi dei partiti di destra o i loro gazebi – e la lista degli attacchi, anche nelle recenti campagne elettorali, è piuttosto lunga – non ricorra la stessa indignazione, i leader della sinistra non accorrano a denunciare l’attacco alla democrazia e alla Costituzione a favore di telecamere, e i giornali mainstream se la cavino con un trafiletto in duecentesima pagina…
Noi siamo per la tolleranza zero nei confronti di qualsiasi forma di illegalità, anche delle devastazioni e delle aggressioni politiche solitamente tollerate dal Viminale, e ignorate o persino giustificate dalla sinistra e dai media “amici”.
Ma le violenze di sabato, ce lo ha ricordato Marco Gervasoni su Twitter, sono la dimostrazione di ciò che accade quando un movimento ha sufficiente massa critica ma non ha organizzazione e guida politica. Rischia di essere infiltrato e strumentalizzato da una frangia violenta alla ricerca di visibilità. E consapevolmente o meno, scatenando la legittima azione delle forze dell’ordine, le violenze finiscono per essere perfettamente funzionali alla difesa di ciò contro cui quel movimento si batte.
Sabato scorso, migliaia di manifestanti pacifici con molte ragioni dalla loro parte sono rientrati nella narrazione che li vorrebbe incasellare come minaccia eversiva. Che tutto sia dipeso da poche decine di violenti, che sia stato orchestrato ad arte o sia semplicemente capitato, poco conta: conta il risultato.
Certo, sorprende la facilità con cui da un lato hanno potuto agire gli assalitori della sede della Cgil – la cui presenza e pericolosità tra l’altro era ben nota alle autorità – quasi che la scelta fosse di lasciarli fare, dall’altro con cui i manifestanti venivano caricati e percossi dalle forze dell’ordine anche durante momenti pacifici. A guidare l’assalto, persino un signore “daspato” e sottoposto a sorveglianza speciale, che non potrebbe nemmeno partecipare alle manifestazioni. Né ci siamo fatti mancare lo strano personaggio che di frequente in queste situazioni di caos si vede nei filmati aggirarsi in borghese ora tra i manifestanti, ora dietro le file della polizia, a picchiare qualche malcapitato fermato.
E certo è che se fosse stata una delle tante manifestazioni della sinistra “no-tutto”, si sarebbe detto che le forze dell’ordine avrebbero dovuto innanzitutto difendere il diritto a manifestare dei tantissimi manifestanti pacifici dai pochi facinorosi provocatori.
Non sappiamo quanto ci sia di studiato a tavolino nella gestione dell’ordine pubblico di sabato scorso, ma sappiamo che da settimane, mesi, è questa la narrazione che il governo, il Viminale, gran parte delle forze politiche di maggioranza e dei media mainstream cercano di accreditare, per criminalizzare chi è contro l’obbligo di Green Pass e osa porre domande scomode: no-green pass uguale no-vax uguale fascisti. Quindi, per la proprietà transitiva, no-green pass uguale minaccia eversiva.
Una equivalenza che è chiaramente una impostura intellettuale, una delle tante e forse la più odiosa a cui ci è toccato assistere durante la gestione italiana della pandemia, ma che è purtroppo uscita rinvigorita dagli scontri di sabato, dopo il flop degli annunciati blocchi no-vax delle stazioni ferroviarie (ricordate?).
Nella narrazione mainstream si confonde strumentalmente tra vaccini e Green Pass, attribuendo a quest’ultimo i benefici dei primi. E coerentemente, chi è contrario all’obbligo e per la libertà di scelta viene bollato come no-vax. Ma si può essere a favore dei vaccini e contrari al Green Pass e agli obblighi. Come ha ricordato Daniele Capezzone, questa è esattamente la posizione dei più autorevoli quotidiani conservatori come Wall Street Journal e Telegraph, non pericolosi fascisti…
Il Green Pass non è il vaccino. È il vaccino a proteggere dal Covid, il Green Pass è uno strumento normativo per costringere le persone a vaccinarsi senza assumersi la responsabilità di un obbligo vaccinale e aggirando i paletti costituzionali entro cui un obbligo vaccinale dovrebbe inserirsi. E come tale, l’attuale estensione dell’obbligo di Green Pass, persino per lavorare, e persino da remoto, è una scelta tutta politica non solo criticabilissima, ma a cui riteniamo doveroso continuare a opporci. Con le armi della dialettica, della ragione, della libertà d’espressione, della legalità – almeno finché ci sarà consentito.
Ma dopo gli scontri di sabato, assistiamo ad un passo avanti ulteriore: dalla caccia al non vaccinato alla caccia a chiunque, a qualunque titolo, si permetta di avanzare dubbi sull’obbligo di Green Pass. La criminalizzazione non solo di chi non vuole vaccinarsi, di chi scende in piazza a manifestare, ma anche di chi si limita ad esprimere le sue opinioni.
“Chi ha dato copertura ideologica, filosofica, morale e politica a questa follia no green pass in buona fede, sappia che dopo oggi la presunzione di buona fede non vale più”, ha avvertito il giornalista Tommaso Labate con un tweet.
Vietato criticare, vietato dubitare e chiedere conto alle autorità della logica delle loro decisioni. Non basta vaccinarsi. Non basta obbedire. Bisogna anche credere e dimostrare di crederci. Credere, obbedire, vaccinarsi. Se si viene meno ad uno solo di questi imperativi, si rischia di venire accomunati ai violenti, di essere bollati come mandanti morali, come è capitato ieri sera persino a Vitalba Azzollini, una giurista che in punta di diritto non si stanca di sollevare dubbi e perplessità sulle misure governative anti-Covid, obbligo di Green Pass compreso, senza mai dire o scrivere una parola fuori posto e condannando la violenza in ogni forma. Ma non basta. Non basta mai, pretendono la sottomissione completa, il silenziamento di ogni critica.
Ieri sera, via Twitter, a partire da una vignetta mediocre e di cattivo gusto, Vitalba è stata senza mezzi termini accusata dal virologo Burioni, dal giornalista Rai Loquenzi e dal governatore dell’Emilia Romagna Bonaccini di fomentare, con i suoi articoli, i no-vax e quindi di essere pericolosa.
Alle sue repliche si è sentita chiedere da Bonaccini se per caso non abbia la coda di paglia.
Ora, pur essendo su sponde politiche diverse, non si può non riconoscere in Vitalba Azzollini, anche quando siamo in disaccordo, onestà e rigore intellettuale, studio e riflessione, ingredienti preziosi di un sano dibattito pubblico. Ci accomuna oggi la preoccupazione per gli effetti delle degenerazioni normative anti-Covid sul nostro ordinamento, sulle nostre libertà e in generale sul rapporto Stato-cittadino. Per qualcuno si tratta di sofismi che disturbano i manovratori, per noi le questioni di diritto sono sostanza. Se si riduce tutto alla mera sopravvivenza, allora siamo bestie, non uomini. E questo sì, significa scendere al livello dei violenti.
Se proprio si vogliono cercare responsabilità morali, non si guardi solo a chi legittimamente e fondatamente critica l’obbligo di Green Pass, ma anche ai ministri che godono dei “costi psichici” inflitti, ai mesi di disprezzo e insulti (e menzogne) vomitati addosso ai non vaccinati. Dichiarazioni incendiarie che stanno facendo saltare i nervi a chi già vede fortemente compresse le proprie libertà, il diritto di seguire una lezione in presenza e persino di lavorare.
Ogni giorno, da mesi, sulla carta stampata, via social o dai salotti dei talk show, politici, virologi, giornalisti, persino operatori sanitari sparano a palle incatenate accuse e minacce verso chi non vuole vaccinarsi o semplicemente non ritiene giustificate le limitazioni imposte attraverso l’obbligo di Green Pass: chi li vorrebbe vedere morti o intubati, chi “chiusi in casa come sorci” o “perseguiti come mafiosi”, chi vorrebbe fargli pagare le cure, chi addirittura invoca Bava Beccaris (il generale noto per aver ordinato di sparare sulla folla per reprimere i moti di Milano del 1898), chi appunto si compiace dei “costi psichici” inflitti con la “genialata” del Green Pass.
Una vera e propria “campagna d’odio”. Dunque, non si può incolpare solo una parte del clima infame, della deriva pericolosa…
Basta guardare i dati delle vaccinazioni: l’Italia è tra i Paesi al mondo con le più alte percentuali di popolazione vaccinata (siamo sopra Francia, Germania, Regno Unito e molti altri Paesi europei che hanno rimosso ogni restrizione e obbligo di pass sanitario) e questo senza che l’estensione dell’obbligo di Green Pass abbia determinato rimbalzi significativi rispetto ad una dinamica inevitabilmente in rallentamento essendo ormai vaccinata la stragrande maggioranza degli italiani.
Si è deciso comunque di avvelenare il clima, di dividere gli italiani, introducendo una misura non necessaria, né dal punto di vista sanitario né per la campagna di vaccinazione, la cui unica logica sembra quella di cercare l’umiliazione e la sottomissione di una parte della popolazione. La maggior parte dei Paesi europei con percentuali di vaccinati simili o inferiori alle nostre hanno riaperto tutto e senza pass. Ma qui ci viene ripetuto fino alla nausea – altra colossale menzogna – che il Green Pass è uno “strumento di libertà”. Certo, se per chi lo impone l’unica alternativa ad esso sarebbero le chiusure e la ricaduta dell’economia…
Eppure, se guardiamo al di fuori dei nostri confini, a guidare contromano in autostrada con il suo obbligo di Green Pass sembra il governo italiano.
In Italia “l’obbligo più esteso tra i maggiori Paesi occidentali”, titolava il Wall Street Journal, riferendosi all’obbligo con espressioni come “forza politica bruta” e “inutile accanimento”.
La cosa che ricorda di più il fascismo oggi in Italia è proprio l’obbligo di Green Pass, come ha scritto Zoe Strimpel sul Telegraph, altro che le manifestazioni no-vax…
“In Italia di recente mi sono trovata sconcertata dalla incessante applicazione di regole stupide e invasive. Alcune, ma non tutte, riguardavano il Green Pass del Paese, prova digitale dello status Covid che viene richiesto ovunque, dai treni ai vecchi musei polverosi. Ma quello che mi ha colpito è stato un mood generale di ‘documenti per favore’ per lavorare. Con questa rete pronta di esecutori militanti, accecati dal potere ritrovato, non ho potuto fare a meno di pensare al fascismo e all’effetto della sua influenza straordinariamente recente sui giorni nostri…”