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No, nemmeno il Covid-19 avvererà i sogni bagnati dei fan dello stato autoritario e socialista

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In questo ultimo mese di grave emergenza abbiamo assistito a tutto e al contrario di tutto. In Italia nessuno, dalla scienza fino alla politica, è riuscito a prevedere veramente con limpida chiarezza quanto sarebbe successo e sta tutt’oggi succedendo nel nostro Paese e nel mondo intero.

In questo clima di forte incertezza, connotato da un inusuale rapporto altalenante di amore e odio nei confronti della scienza e dei suoi rappresentanti, c’è chi ne approfitta per intraprendere alcune riflessioni sulle diverse problematiche emerse a causa di questa pandemia virulenta. La sfiducia nel sistema vigente e nel progresso sono il fil rouge che accomuna molte di queste riflessioni. Da Fabio Marcelli, che sul Fatto Quotidiano ci spiega perché il neoliberismo avrebbe facilitato la diffusione e l’evoluzione del Covid-19, fino alla giornalista Marina Calculli del Manifesto, che predica la necessità di una maggiore forza dello Stato centrale sui privati (nulla di nuovo insomma, la solita solfa comunista da più di cent’anni a questa parte). Come dopo ogni crisi, durante la storia moderna ci sono sempre state personalità pronte a gettare fango sul sistema capitalistico sperando in un’utopica, quanto ingenua, svolta di sistema. Nonostante il Muro di Berlino sia caduto ormai trent’anni fa, i fan dello stato autoritario e socialista (di cui noi, volenti o nolenti, stiamo vivendo un prototipo in questi giorni), non si perdono d’animo e proseguono con la loro battaglia politica centenaria.

Ma se invece l’amplificatore di questa crisi non fosse la “società aperta” – come la chiamava Karl Popper – e il sistema in cui questa si inquadra, ma fossero proprio le negligenze e i numerosi difetti di uno Stato centralizzato, tanto desiderato e voluto dai sopracitati amanti del dirigismo? Facciamo un passo indietro e focalizziamoci sulla situazione del nostro Paese in questo momento: il presidente del Consiglio ha emanato numerosi decreti che, susseguitisi l’uno dopo l’altro sono andati a comporre insieme una struttura sicuramente sovrabbondante e, più volte, anche confusa (basti pensare alla recente controversia sulle passeggiate genitori-figli); il sito dell’Inps ha smesso di funzionare a causa di un “attacco informatico” (scusa meno credibile del cane che si è mangiato i compiti a casa); infine una burocrazia, pletorica e labirintica, ha impedito e impedisce tuttora il rifornimento di materiale medico essenziale per la cura e la prevenzione del virus. Questi sono solo alcuni esempi dell’inefficienza statale, che va ad inficiare lo sforzo e il lavoro non solo degli stessi enti pubblici ma soprattutto di privati, aziende e relativi lavoratori, che in questi giorni permettono di far andare avanti il Paese. Un discorso più ampio e approfondito però va fatto sull’aspetto burocratico, che da sempre rappresenta motivo di impedimento all’iniziativa privata.

Rimanendo in ambito ospedaliero, settore mai fondamentale quanto ora, si potrebbe citare come esempio la lenta realizzazione (ancora in corso dal 2007, anno di presentazione del progetto) del nuovo policlinico di Milano. Il futuro ospedale, frutto della collaborazione dei tre architetti Stefano Boeri, Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra, conta una planimetria di circa 70.000 mq e andrà a sostituire ben undici padiglioni ormai datati e demoliti già nel lontano 2009. Dopo ben dieci anni dalla demolizione completa dei vecchi padiglioni, solamente lo scorso anno sono iniziati i lavori per il cantiere del nuovo policlinico che vedrà finalmente la sua realizzazione completa solo nel 2023, dopo quasi quindici anni dalla presentazione del progetto nel 2007. Insomma, in Italia, per costruire un nuovo ospedale, e non solo, bisogna attenersi ai tempi della burocrazia. Tempi che, come vediamo, sono insostenibili.

Ma da una crisi, sociale, economica e sanitaria, come quella per il Coronavirus, forse, possiamo apprendere molto e cercare di migliorare. Possiamo pensare ad un Paese migliore di quello pre-crisi pandemica, ad un’Italia che sia sburocratizzata e semplificata, le cui opere strategiche, ma anche le iniziative private e imprenditoriali, siano favorite e incentivate da una struttura statale più semplice e diretta. Viene infatti da pensare: che cosa sarebbe successo se il nuovo policlinico meneghino fosse stato ultimato qualche anno fa, invece di essere ancora in costruzione? Come sarebbe cambiata la gestione di posti letto per malati di Covid-19 a Milano e provincia in questi giorni di crisi? Se la nuova sezione d’ospedale avesse necessitato di tempi di realizzazione e di pratiche burocratiche più brevi e semplificate, sarebbe servito spendere milioni di euro in queste settimane per costruire in fretta e furia un ospedale presso la fiera di Milano? Ecco, è doveroso porsi questi quesiti, al fine di poter comprendere le problematiche del nostro Paese.

Sperando che questa crisi, seppur drammatica, possa costituire in questo senso un trampolino di lancio per il nostro Paese, confidiamo nella capacità della politica di cogliere la palla al balzo e approfittare di questa occasione per migliorare un’Italia rallentata e devastata dalla burocrazia e dagli errori della gestione statale; anche se, visto chi ci governa oggi, non sarei così fiducioso.