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No, non è un paradiso multiculturale: a Palermo la mafia nigeriana ha preso il controllo

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Il 12 dicembre scorso Matteo Salvini, leader della Lega e senatore della Repubblica, era in Sicilia, a Catania, dove si è svolta l’udienza del processo che lo vede imputato di sequestro di persona per aver ritardato lo sbarco degli emigranti irregolari della nave Gregoretti nel 2019. Per combinazione il giorno successivo la Bbc ha dedicato un reportage proprio alla Sicilia. Corredato da una documentazione fotografica, il servizio spiega come l’isola sia diventata un felice, gioioso centro multiculturale grazie al fatto che migliaia di giovani africani, soprattutto provenienti da Paesi dell’Africa occidentale come la Nigeria, il Senegal e il Gambia, l’hanno scelta come loro nuova casa. Spesso si dimentica, dice la Bbc, che, mentre decine di migliaia di africani sono transitati nell’isola, di passaggio durante il loro viaggio verso l’Europa del Nord, altrettanti hanno invece deciso di rimanere. Palermo in particolare, “da sempre crogiuolo di culture”, ha la fortuna di avere un sindaco, Leoluca Orlando, “pro-migranti” e per questo la città da tempo è conosciuta e apprezzata per la sua ospitalità.

“Nel corso degli anni – osserva l’autore dell’articolo, il giornalista esperto di migrazioni Ismail Einashe – ho visto quanto la cultura africana ha rimodellato la città, dai gusti musicali alla popolarità delle danze africane al cibo e persino alle acconciature dei giovani siciliani”. “In nessun quartiere di Palermo – prosegue – la presenza africana è più evidente che in quello di Ballarò, un tempo storico quartiere delle associazioni mafiose”.

Segue la descrizione delle serate palermitane, animate da canti, tamburi e danze africane mentre nei bar di Ballarò si beve spritz, ma anche cocktails che sanno di mango, ibisco, ananas e zenzero, e nei ristoranti si servono i piatti della cucina siciliana e africana. Al mercato, poi, a fianco dei banchi italiani, ci sono quelli colmi di prodotti un tempo sconosciuti, come l’okra e le patate dolci, e le donne africane grigliano pannocchie di mais: “Un angolo di Africa spunta dappertutto, dalle donne nigeriane che vendono soda, dolci e birra ai sarti senegalesi che confezionano indumenti di stile africano”.

Ismail Einashe, oltre che alla propria esperienza diretta, per documentarsi ha attinto a fonti italiane, ma in maniera molto molto selettiva: ad esempio, il sito web Terrelibere.org, dove è possibile leggere un articolo intitolato “Palermo. Ballarò più sicuro grazie agli africani”, in cui si sostiene che gli immigrati hanno “contribuito positivamente a restituire il centro storico alla città”; o L’Espresso, che nel 2019 ha pubblicato l’articolo “Palermo, capitale dell’accoglienza: la grande lezione della Sicilia a tutta l’Italia”, secondo cui Ballarò “rivive” grazie agli immigrati che denunciano gli estorsori della mafia: “un modello alternativo”.

Nell’articolo di L’Espresso però si dice che il giornalista Gianmauro Costa, fervente sostenitore della provvidenziale, buona influenza su Palermo degli immigrati, tuttavia ha ambientato proprio a Ballarò il suo romanzo “Mercato nero”, la cui protagonista “è alle prese con Black Axe, la nuova mafia nigeriana”.

Basta scorrere la cronaca palermitana, per capire perché. Eiye, una costola di Black Axe, a Ballarò gestisce il racket di tratta, prostituzione e spaccio di stupefacenti. Anche per questo nel quartiere gli episodi di violenza sono frequenti. Tra quelli recenti, uno dei più gravi ha coinvolto decine di persone a fine maggio: una maxi rissa tra italiani e africani per lo più del Gambia armati di coltelli, bastoni e cocci di bottiglia che ha richiesto l’intervento di decine di mezzi di carabinieri e polizia. “Ballarò sta morendo – commentava il blog palermitano Mobilita.org nei giorni successivi – l’esperimento di trasformare un quartiere difficile in un esempio di integrazione multiculturale e sociale rischia di trasformarlo invece in un  centro di prostituzione, spaccio e criminalità”.

Ma Ismail Einashe non accenna a questi problemi e tanto meno parla del modo in cui gli immigrati sono arrivati nella città “che hanno scelto come loro nuova casa”. Irregolari, illegali, clandestini. Neanche una volta nel servizio si usano questi termini. Eppure molti, se non tutti gli stranieri che, secondo il giornalista, ravvivano e normalizzano Palermo e la Sicilia combattendo la mafia e animando la vita di quartieri un tempo infrequentabili, sono presumibilmente sbarcati in Italia senza documenti e visti, trasportati da una organizzazione di trafficanti, e, se ancora vivono in Italia, è perché hanno preso tempo dichiarandosi profughi e inoltrando una richiesta di asilo. Di sicuro è il caso del cantante nigeriano Chris Obehi, arrivato dalla Nigeria a 17 anni “dopo aver affrontato la pericolosa rotta che passa per la Libia” e che in molte sue canzoni rievoca le difficoltà incontrate per raggiungere Palermo. In uno dei suoi più grandi successi canta la traversata del Mediterraneo: poche parole slegate, il testo, e una sola frase ripetuta e gridata più e più volte: “Non siamo pesci, non siamo pesci dentro il mare, ma siamo umani”.

Quasi incidentalmente, l’articolo della Bbc osserva che “un crescente sentimento anti-migranti pervade l’isola”. Perché sono irregolari? Perché usano l’espediente di dirsi profughi per farsi inserire nel costoso programma di accoglienza allestito per loro? Perché quando ne escono per lo più non trovano lavoro se non in nero, dal momento che in Sicilia il tasso di inattività supera il 52 per cento e loro inoltre non parlano italiano e mancano di formazione? Perché entrano nelle mafie nigeriane o in altri settori della criminalità organizzata? No. Per la Bbc il sentimento anti-migranti nasce dalle difficoltà causate dalla pandemia.