La pandemia di Covid-19 che ha coinvolto – nonostante molti commenti di stampo provinciale in Italia – il mondo intero, ci sta ricacciando in una situazione di grave crisi dopo la breve illusione che fosse in fase di esaurimento. Quando scrivo “il mondo intero” intendo dire proprio tutti, incluse le nazioni che avevano trionfalmente proclamato la fine di questa nuova pestilenza.
Ci ha provato, per esempio, il governo cinese lasciando intendere che, grazie ai continui e massicci lockdown e all’efficienza del Partito comunista, il virus sul suo territorio fosse stato definitivamente debellato. Non era vero, e le celebri foto della Grande Muraglia di nuovo affollata di turisti si sono rivelate in seguito un classico caso di fake news, diffuse per rassicurare la popolazione.
Ma, senza andare così lontano, è sufficiente mettere il naso appena al di là dei nostri confini per capire che il governo italiano non è poi così inefficiente come tanti proclamano. Si vada in Austria per esempio (ammesso che le guardie di frontiera vi facciano passare), oppure in Germania o in qualsiasi altra nazione dell’Unione europea. Ovunque si troverà la stessa desolazione, la stessa amara sorpresa per le varianti che continuano a susseguirsi senza posa, la stessa incertezza sui vaccini che, pure, hanno consentito almeno di limitare le conseguenze più gravi.
Abbiamo spesso sentito diffondere, in questi ultimi tempi, un messaggio più e più volte reiterato che suona, più o meno, così: “Bisogna credere nella scienza”. Occorre tuttavia chiedersi se, visto il contesto, tale messaggio sia giusto, oppure se lo sia soltanto in modo limitato. Dove sta il problema? Risiede semplicemente in un fatto. “Credere” è un verbo che va bene in un contesto di tipo religioso, ma non in ambito scientifico.
Scienza e religione sono due ambiti diversi. Nella seconda si crede quando si ha la fortuna di possedere la fede, magari supportata pure dal ragionamento. Nella prima, più che “credere”, si verificano i risultati sperimentali conseguiti da scienziati e ricercatori e poi si decide se accettarli o meno, sempre in base al successo conseguito.
Si capisce, dunque, quanto possa essere fuorviante l’invito a credere nella scienza. Soprattutto in un periodo come questo, con l’emergere di una pandemia di cui non si conoscono ancora bene risvolti ed esiti.
Esistono, tuttavia, alternative plausibili a una scienza che manifesta, come tutte le attività umane, dei limiti dovuti alle nostre carenze cognitive? Ed ha un senso appellarsi, come fanno molti no-vax, alle bufale diffuse in quantità industriale nei siti internet?
In realtà questa pestilenza del nostro secolo ha messo a nudo senza pietà la debolezza estrema degli esseri umani, in particolare di quelli che vivono nell’epoca attuale. Ci ha fatto comprendere meglio il grande vuoto esistenziale nel quale siamo precipitati, nonché la scomparsa di valori forti e fondanti in grado di conferire un senso alla vita.
Si manifesta da più parti, insomma, il bisogno di un ritorno alla fede che si è, nel frattempo, quasi volatilizzata. E parimenti emerge la necessità di tornare a concepire la morte come un fenomeno naturale, e non alla stregua di un “incidente” che fa deragliare un’esistenza che si vorrebbe – o s’immaginava – destinata a durare per sempre.
Una volta compresa la strumentalizzazione del fenomeno no-vax da parte di alcune forze politiche e i suoi aspetti più deteriori, perché legati a meri calcoli elettorali, il filosofo deve sforzarsi di tematizzare la perdita del senso più profondo della vita, che ha colpito in profondità l’umanità contemporanea.