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Non basterà un restyling a Berlusconi e Meloni per allontanare Salvini da Di Maio

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Ci rivolgiamo agli amici di Forza Italia e Fratelli d’Italia. Chi scrive, aveva già provato tempo fa, sempre su Atlantico, a dare umilmente qualche consiglio, non richiesto senza dubbio, a ciò che rimane della creatura politica fondata da Silvio Berlusconi. Ora si vuole allargare il discorso anche al partito di Giorgia Meloni, sempre in estrema umiltà e in maniera disinteressata. La situazione odierna di tutta quell’area politica alternativa al Pd, alle varie sinistre in generale e per tantissimi aspetti, anche al M5S, è ormai nota a tutti o perlomeno, dovrebbe essere tale.

Il centrodestra a trazione berlusconiana è vivo solo nell’album dei ricordi. Le vecchie sigle centriste, come l’Udc di Casini e Cesa, non esistono più o, al massimo, sono ridotte alla marginalità, senza alcun potere contrattuale. Forza Italia e gli ex-An radunati sotto le insegne di FdI, sono ancora vivi, per carità, ma non godono di ottima salute e ciò viene periodicamente certificato dai sondaggi che continuano a rimarcare un declino inesorabile per le truppe, (sbandate), berlusconiane e non concedono grandi percentuali elettorali alla pur dinamica e volenterosa Giorgia Meloni. I sondaggisti non sono infallibili, ma non conviene nemmeno ignorarli del tutto. Su queste debolezze trionfa invece la Lega di Matteo Salvini che, secondo molte rilevazioni, rappresenterebbe ormai il 30 per cento almeno degli italiani. Ad un certo punto l’ascesa del Carroccio potrebbe anche fermarsi, ma per il momento la Lega è l’unico partito, fra i vari orfani del vecchio centrodestra, che cresce in maniera vigorosa, nonostante le responsabilità di governo, le quali spesso fanno perdere voti, e la non semplicissima convivenza a Palazzo Chigi con i pentastellati.

Se non dovesse sorgere a breve un’alternativa di centrodestra, non pregiudizialmente avversa a Salvini, ma in grado di competere con la Lega, l’attuale responsabile del Viminale potrebbe allargare ancora i propri consensi, aggregando anche quegli elettori disponibili a sostenerlo come male minore e in mancanza d’altro, al fine di contenere il dilettantismo del M5S e scongiurare il ritorno di pateracchi semi-tecnici nei quali potrebbero imbucarsi gli sconfitti e i furbastri in salsa Pd. In passato, non tutti gli elettori di Berlusconi erano innamorati persi del Cavaliere, ma lo votavano puntualmente perché riusciva ad interpretare quasi sempre una prospettiva migliore rispetto ai parolai del centrosinistra. Non è escluso che tutto ciò si ripeta con Matteo Salvini. Sta alle energie più fresche che ancora albergano all’interno di FI e a Fratelli d’Italia darsi da fare per non lasciare tutti gli elettori del centrodestra che fu alla Lega e provare ad attrarre Salvini in una rinnovata coalizione alternativa al Pd e agli alfieri a 5 Stelle della decrescita infelice.

Oggi, alcuni forzisti e pure i fratelli di Giorgia parlano facilmente di centrodestra, pressando Salvini ad aderirvi, come se esistesse ancora la medesima alleanza e pure gli stessi rapporti di forza di qualche tempo fa. Come se non fosse cambiato nulla, soprattutto dopo le elezioni del 4 marzo scorso. Servirebbe un bel bagno di realismo ed umiltà, in particolare dalle parti di FI, e una severa rivoluzione interna. Fino a quando Forza Italia si dimenerà soltanto fra le paturnie del fondatore, (umanamente da rispettare, politicamente da pensionare), l’ormai impopolare europeismo stile PPE e la malcelata voglia di nuovi Nazareni, Matteo Salvini rimarrà a governare con Di Maio, pur con tutte le difficoltà che questo comporta. E per quanto riguarda FdI, fino a quando la fiammella tricolore non dimostrerà un certo slancio elettorale, la Lega preferirà mantenersi le mani libere, senza troppi vincoli di coalizione.

Se si vuole rifare qualcosa nel campo lasciato incolto dalle vecchie sigle come CdL o PdL, non è possibile ignorare il peso elettorale della Lega di Salvini. L’obiettivo dovrebbe essere quello di spingere, magari non subito, ma gradualmente, la Lega a dire bye bye al M5S, oltre a non lasciare, legittimamente, il monopolio al Carroccio. In effetti, a questo pensano sia FI che FdI, ma per raggiungere il risultato è necessario sudare sette camicie e non bastano piccoli aggiustamenti. Come è già stato scritto recentemente, qui su Atlantico, Forza Italia dovrebbe tornare, con una leadership del tutto nuova, allo spirito liberale e riformatore delle origini, ovvero all’unica cosa che la possa rendere ancora attraente ed interessante. Giorgia Meloni, a differenza di FI, dimostra effettivamente di essere un po’ più consapevole della cannibalizzazione leghista che sta mettendo a terra diverse aree politiche. FdI si è arricchito di nuovi ingressi e vi è stata l’adesione a ECR, i conservatori e riformisti europei. La Meloni, rispetto alla paralisi di FI, prova a fare qualcosa di diverso, al fine di sottolineare che c’è vita anche oltre alla Lega e questo non è di per sé negativo. Si avvicina a ECR, tentando di allargare i propri orizzonti e di divincolarsi un po’ dal ruolo di mera testimonianza della storia di Alleanza nazionale.

Tuttavia, l’energica Giorgia rimane prigioniera di determinate contraddizioni che già limitarono in parte le potenzialità della defunta An. FdI si dichiara, dopo l’adesione a ECR, sovranista e conservatore, senza fornire grandi spiegazioni circa il tipo di sovranismo e il tipo di conservatorismo ai quali intende richiamarsi. Strizza l’occhio alle imprese, ma poi fa discorsi statalisti da vecchia destra sociale. Sovranisti e conservatori non deve essere per forza un ossimoro. Il conservatorismo occidentale, attraverso sfumature diverse, può anche essere sovranista, se per sovranismo si intende la difesa dell’interesse nazionale e dell’identità di un Paese, in un quadro globale però aperto e non autarchico. Se il sovranismo serve solo ad inseguire Salvini, peraltro senza troppo successo, e il conservatorismo generico torna utile soltanto a rendersi simpatici dinanzi ai nuovi amici di ECR, beh, il respiro sarà sempre piuttosto affannoso. Fratelli d’Italia ha deciso di essere sovranista e conservatore? Bene, ma sia sovranista e conservatore come lo è Donald Trump, il quale antepone l’interesse nazionale americano, il cosiddetto America First, ma non isola la propria patria dal resto del mondo. Si batte, certo, per una globalizzazione diversa da quella dell’ultimo decennio, ma al contempo non la affossa. In casa sua abbassa le tasse, spinge l’economia e non si attacca a quelle incrostazioni stataliste che purtroppo hanno sempre sedotto gran parte della destra italiana.

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