Riceviamo e pubblichiamo questo corsivo politicamente scorretto di Davide Rossi, ex assessore alla cultura del Comune di Fano e della Provincia di Pesaro-Urbino
Trascorsa quasi una settimana dalla riapertura dei confini regionali, continuano a moltiplicarsi gli appelli di politici e virologi: “Attenzione non abbassiamo la guardia, continuiamo a mascherarci e stare distanziati perché non siamo ancora al rischio zero”. Il rischio zero. Ma di cosa parlano costoro? Da quando nella vita è possibile, e auspicabile, inseguire il rischio zero? La vita è assunzione di rischi o non è. Solo i morti non corrono più pericoli. Fra le conseguenze devastanti della gestione dell’epidemia di Covid-19 c’è anche l’aver fatto introiettare alla popolazione, e soprattutto ai giovani, un profondo senso di paura. Insegnare che, da quando ci si alza al mattino finché si torna dormire la sera, occorra mettere in atto tutta una serie infinita di precauzioni è sbagliato e frustrante. Un conto è la prudenza, che è una virtù e che aiuta a vivere meglio, altro paio di maniche è vivere con la preoccupazione costante che ci possa capitare qualcosa di male.
Vivere è pericoloso e voler far credere che si possa azzerare il rischio è demenziale e depravato. Gli italiani che oggi hanno 10, 15 o 20 anni vedono imprimersi nel loro conscio e soprattutto nel subconscio la distorta convinzione che debbano adoperarsi per non rischiare nulla. Tale convinzione, com’è agevole comprendere, si estenderà a tutte le sfere della vita di questi ragazzi. Perché rischiare di innamorarsi, se poi il mio amato può lasciarmi con tutte le sofferenze che ne conseguono? Figurarsi poi assumersi il rischio di impresa, meglio l’illusione del posto fisso. E se ci fosse la necessità di difendere la patria in armi da un’aggressione? Come si potrebbero convincere i giovani a combattere dopo averli storditi di Amuchina e soffocati di mascherine? Dopo che si è detto loro in tutte le salse, e addirittura con sanzioni, che non devono avvicinarsi all’altro perché pericoloso, neppure se è il proprio nonno o la propria fidanzata? In questa vicenda si stanno producendo danni indelebili: i giovani, futuri politici e futuri capitani d’azienda avranno paura anche della loro ombra, perché abituati a rifuggire qualsiasi rischio. Lascio a voi immaginare che tipo di futuro e di sovranità potrà avere un Paese con una classe dirigente siffatta.
In pochi mesi, è stato accelerato e portato a compimento un processo che era in atto da decenni: la totale svirilizzazione dei popoli occidentali. L’anno scorso abbiamo celebrato i cento anni della dannunziana impresa di Fiume, una vera e propria festa della rivoluzione libertaria di cui, assieme al Vate, furono protagonisti proprio i giovani. Ragazzi cui veniva insegnato, con l’esempio personale, il valore dell’audacia e dell’impresa corsara, del coraggio e l’importanza primaria della libertà, da conquistare anche a rischio della propria vita.
Gabriele d’Annunzio fece incidere sul MAS con cui compì la Beffa di Buccari, il motto latino “Memento audere semper”, Ricordati di osare sempre. Ma anche in tempi a noi più vicini, il periodo del ’68 ha visto i giovani appassionarsi ad un’idea politica rivoluzionaria (di destra o di sinistra che fosse) per la quale valeva la pena mettere in gioco la propria intera esistenza. Cosa resta di questo patrimonio di valori? Quanto di più antiestetico e inutile esista, come i guanti di lattice per toccare le superfici (pericolosissime vivaddio!) e i calzari di plastica per non calpestare il virus sull’asfalto. A questo abbiamo ridotto l’attuale generazione, già spompata dai videogiochi e rimbambita da un’adolescenza dilatata all’inverosimile.
E allora benvenuti i messaggi politicamente scorretti. Ad esempio quelli di Trump, che nel bel mezzo delle rivolte di strada a Washington, si è messo alla testa di un piccolo corteo e senza mascherina (assurda e dannosa all’aria aperta) si è concesso una passeggiata simbolica dalla Casa Bianca alla vicina Saint John Epyscopal Church, rivendicando di essere il presidente di “legge e ordine”. Ancor di più quello del presidente del Brasile Jair Bolsonaro, che in un mare di conformismo e di rincorsa ipocrita al principio precauzionale assoluto, ha avuto il coraggio di pronunciare l’indicibile: di fronte a chi quotidianamente lo accusa di non piegarsi alla vulgata sul coronavirus e di ostinarsi a non voler recludere in casa i brasiliani, ha risposto: “Mi dispiace sinceramente, ma nella vita di qualcosa si finisce per morire”. Apriti cielo, gli hanno dato del pazzo, del criminale e dell’irresponsabile. Nella vita si finisce per morire, è così da quando esiste il mondo e resto convinto che l’esserne consapevoli sia il modo migliore per comprendere quanto sia importante vivere pienamente, gioiosamente, di corsa, senza paura. Per vivere degnamente, “Sufficit Animus” (basta il coraggio).