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Non si sono piegati, si sono spalmati agli eurousurai e non sanno far altro che essere comunisti

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Ci avevano promesso che mai si sarebbero piegati agli eurousurai: non si sono piegati, si sono spalmati come pelli di animali morti. Sono comunisti, non hanno scrupoli nel mentire sapendo di mentire.

Ci hanno scaricati ad un accordo pieno delle peggiori umiliazioni, capace di farci finire esattamente come la Grecia: esultano, parlano di “grande primo tempo”, sapendo che ormai siamo direttamente ai supplementari. Sono comunisti, usano la lingua di legno, naturalmente proporzionata alle capacità culturali, che sono nulle.

Ci hanno storditi con le allettanti promesse, 25 miliardi, altri 25, altri 50, poi 400, poi 700: non si vede un euro e intanto le aziende e le botteghe muoiono. Sono comunisti, non gli importa dell’economia, sognano la classe unica, il sottoproletariato straccione e nemmeno lo mascherano.

Ci hanno ammazzati di tasse che neppure in una fase come questa, bellica, da autentica emergenza civile, si sono azzardati a toglierci, neppure una, neppure per sbaglio: eccoli, vogliono metterci sopra un altro prelievo per i “ricchi” da 80 mila euro in su. Sono comunisti, lo stato non gli basta mai e lo stato sono loro, sono le loro bocche eternamente spalancate, da Conte Ugolino che divora tutto.

Ci hanno scaricato addosso il loro odio dall’alto delle loro borse firmate, delle loro barche, delle tette rifatte, dei completi di sartoria, dei loro attici vista Colosseo, Battistero o Duomo, le loro raffinate abitudini, i loro privilegi da Politburo: ora vogliono una patrimoniale, da chiamare “contributo di solidarietà”. Sono comunisti, non conoscono il valore della fatica, della dignità, dell’individuo, fin da bambini (o sardine), ondeggiano gregari e inetti, nullafacenti in carriera.

Ci hanno giurato che “era tutto sotto controllo” a partire dalla macchina dello stato: la realtà si è vista subito, portali in tilt, oscene accuse a fantomatici hacker russi, scaricabarile indecente, proliferazione di decreti, di autocertificazioni, novecento pagine di norme psicopatiche, tutto per niente, tutto per legittimare il niente a tutti. Sono comunisti, drogati di burocrazia, grigi, irranciditi dentro, anche davanti ad un tramonto sul mare (come li canzonava don Camillo) non sanno pensare ad altro che all’ultima direttiva di partito.

Ci hanno irriso quando avevamo paura e restavamo chiusi in casa, ci hanno offeso come fascisti, sessisti, ignoranti, ci hanno additato con la complicità dei virologi di riferimento, hanno abbracciato cinesi, degustato aperitivi solidali con presentatori eterni ragazzini di riferimento; perdendo tempo, mentendo a noi e a loro stessi, abbandonandoci nelle fauci della pandemia. Sono comunisti, sono sempre gli stessi, come i russi a Chernobyl, come i Cinesi a Wuhan, che sarà mai qualche ondata di cadaveri da sacrificare alla propaganda.

Le hanno sbagliate tutti, diagnosi, prognosi, terapia, spocchiosi da (far) morire prima, più spocchiosi alla prova dei fatti, spocchiosi come non mai alla resa dei conti. Sono comunisti, la loro autocritica è sempre la stessa: “dove avete sbagliato, compagni?”.

Sono passati dall’insultarci perché troppo cauti, all’insultarci perché spericolati; per recuperare il tempo (criminalmente) perduto ci hanno recluso, rinchiuso, incamiciato “per il nostro bene”, senza termine, allungando sempre la data del riscatto; hanno scoperto che gli piaceva, gli dava la misura del loro potere, che, come noto, è sempre meglio che fottere, e non hanno più saputo rinunciare all’orgasmo continuo; vogliono vedere quanto possono stritolare un popolo, arriveranno a proibire di affacciarsi alla finestra, una sigaretta sul balcone: e già chiunque indossi una divisa si sente autorizzato alla peggiore arroganza: moniti, minacce, maniere forti, “controlli ferrei” li chiamano, in una escalation di eccitazione allarmante: i cittadini tornano sudditi, un paio di stivali da ghepeù legittima qualsiasi abuso. Sono comunisti, lo stato etico è il loro pane avvelenato, approfittano anche di una morìa per tentare i loro esperimenti sociali da Stranamore.

Ci hanno messo la mascherina di ferro, serrato le strade, gli scali, le stazioni, unica eccezione: i migranti, per quelli i porti rimangono sempre aperti, anche in Africa ha attecchito la pandemia ma sia preso e processato chiunque se ne accorga. Loro non debbono “fare come Salvini”, ripetono la Boldrini e Orfini. Sono comunisti, che gliene frega se chi arriva rischia di infettare chi c’è e chi c’è rischia d’infettare chi arriva? L’ideologia anzitutto, l’ideologia è tutto e, se la realtà non combacia, beh, che si fotta la realtà.

“Stiamo facendo tutto e più di tutto, tutto quanto serve, siamo i migliori, il mondo prende esempio da noi”, si vantano: ma il mondo sempre più non capisce, compatisce questo governo da operetta che, come dice Luttwak, scivola sempre più nello stato autoritario. Sono comunisti, non sanno fare niente e attrezzano grottesche commissioni di controllo, dette task force, assoldano i loro Berjia perché nessuno si permetta di fiatare.

Questo, ha confermato il coronavirus, l’orrenda pandemia cinese. Che non esistono come liberali, liberal, lib: sono, restano i vecchi compagni di sempre, da sezione lugubre, coi ritratti dei morti alle pareti ingiallite, polverosi; odiano il loro popolo, odiano l’Italia e fremono per discioglierla in un carrozzone europeo che è fine a se stesso, che non serve a nessuno se non alle loro pornografiche attitudini opportuniste da neurodeliri. Sono comunisti. Non cambiano, non possono.