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Non solo neofascisti: l’istinto censorio di Raimo e compagni è scattato anche su alcuni nomi della cultura conservatrice

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Sul Salone del Libro di Torino si sono spesi fiumi di inchiostro. Quel che è stato sottovalutato, però, è che la tentazione censoria non si è sviluppata solo nei confronti della casa editrice Altaforte ma anche nei confronti di altri giornalisti non progressisti. Rileggendo il post di Cristian Raimo apparso su Facebook, e poi rimosso, nel novero delle persone sgradite erano apparsi anche i nomi di Francesco Giubilei, Francesco Borgonovo e Alessandro Giuli. La loro colpa? Essere neofascisti e sostenere un razzismo esplicito.

La logica utilizzata da Raimo per porre nel calderone fascista dei semplici conservatori è pericolosa e fortemente manipolatoria, perché si fonda su un metodo illiberale, derivante dall’utilizzo improprio del termine fascismo. Infatti, accusando l’avversario di fascismo o razzismo, anche quando questi ne è totalmente estraneo, si fa scattare la censura. Il meccanismo innescato è tanto semplice quanto pericoloso: un certo intellettuale non abbraccia le posizioni progressiste che devono essere sostenute, anzi le critica. Quindi è fascista, in quanto si allontana da quella che deve essere la verità ufficiale, ed essendo fascista o razzista deve essere messo a tacere. Non esiste dibattito che tenga, perché il fascismo “non è un’opinione ma un crimine”.

Alla luce di questo ragionamento si coglie quanto il post di Raimo e il sottofondo ideologico che lo accompagna siano pericolosi. Soprattutto in una fase in cui il dibattito pubblico è dominato dalla fascistizzazione dell’esistente. Tutto quello che appare autoritario, antieuropeista o non allineato a certe posizioni progressiste sta diventando fascismo. La categoria che descrive uno specifico fenomeno storico, e una specifica fase della nostra storia, sta ormai perdendo il suo senso per essere utilizzata come strumento di delegittimazione. E così, usando questo termine senza grosse remore si può mettere a tacere l’avversario. Per estrometterlo dal dibattitto pubblico basterà usare la parola magica, ignorandone il complesso significato storico-politico.

Il Salone del Libro di Torino e il post di Raimo rappresentano dunque un pericoloso precedente, che con la fascistizzazione dell’esistente potrebbe diventare un pericolo per quello che oltreoceano chiamano free speech. La preziosa e imprescindibile libertà di parola. Il sale della democrazia.

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