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Non solo sovranisti e populisti: l’Ue di Merkel e Macron sotto assedio da più parti

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Il vento anti-establishment continua a soffiare forte nel Vecchio Continente, così come resta elevata la mobilità dell’elettorato in quasi tutti i Paesi europei. Rimane la ricerca di qualcosa di nuovo, di un qualcos’altro la cui bontà o meno dipende chiaramente dai vari punti di vista e dalle diverse situazioni, Paese per Paese.

Ciò è stato riaffermato dalle elezioni europee di domenica scorsa, e il mancato sfondamento di alcuni amici europei di Matteo Salvini non deve trarre in inganno. I fautori acritici dello status-quo europeo, burocrati di Bruxelles e politici accondiscendenti, hanno finora agitato lo spauracchio dei cosiddetti sovranisti-populisti, spesso schierati a destra e, in molti casi, in buoni rapporti con la Lega salviniana. Questi, secondo gli eurolirici, rappresentano la più importante e grave minaccia per la tenuta dell’Unione europea, e pure per la nostra libertà. Appena si è compreso, fra exit poll e poi, finalmente, dati reali, il venire meno, per qualcuno qua e là in Europa, dell’onda lunga euroscettica, le comari dell’europeismo di maniera non hanno esitato un istante ad utilizzare toni trionfalistici. Non c’è dubbio, l’olandese Wilders ha subito una pesante sconfitta (ma i suoi voti e seggi travasati tutti in una formazione ancora più a destra) e l’AfD tedesca, pur avanzando, non è stata in grado di raggiungere le medesime percentuali di Marine Le Pen e Salvini. In Grecia, per esempio, hanno vinto i conservatori di Nuova Democrazia, più di centrodestra che di destra estrema. Ma l’insofferenza nei confronti di alcuni “padroni del vapore” europei non va certamente a premiare soltanto formazioni politiche di destra. Questo aspetto dovrebbe già essere noto, alla luce dell’esperienza italiana di un anno fa, attraverso la vittoria alle elezioni politiche del Movimento 5 Stelle, oggi in caduta libera.

Le Europee 2019 ci dicono che molti giovani, tanto in Francia quanto in Germania, affidano la loro frustrazione ai Verdi. Si può pensare ciò che si vuole dell’ecologismo militante, e chi scrive non ne pensa bene, ma il voto dato ai Verdi francesi e a quelli tedeschi, è un voto ostile sia verso Macron che verso Angela Merkel. È consigliabile non sottovalutare i tre boom elettorali avvenuti in quell’Europa tutt’altro che periferica. Il sorpasso di Marine Le Pen a scapito del presidente Macron, il successo indiscutibile della Lega in Italia e la significativa vittoria di Nigel Farage, raggiunta con un partito fondato solo due mesi fa. La gestione della Brexit è stata finora un martirio, ma la maggioranza dei britannici non ha evidentemente cambiato idea in merito all’uscita del Regno Unito dall’Ue.

Il fronte comune popolari-socialisti, al Parlamento europeo, non è più autosufficiente, ed ha bisogno di qualche stampella per arginare sovranisti e conservatori. Si parla dell’Alde, ma ulteriori “responsabili” saranno sicuramente graditi. Il malcontento generato da questa Europa, di Juncker e Moscovici, non si è affatto sopito, ma la reazione popolare può cambiare, e anche di molto, da un Paese all’altro del continente. Già solo questo particolare, non del tutto banale, dovrebbe fare riflettere chi vede l’Europa come una sola e monolitica nazione.

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