In America Latina non vi è soltanto il Venezuela che sta lottando per riconquistare la libertà. Anche un altro Paese di quell’area, un po’ più a nord, cerca di liberarsi da un regime opprimente o almeno di limitarne le degenerazioni. Parliamo del Nicaragua dove, da quasi un anno, è in corso una crisi politica, che per alcuni aspetti è simile a quella venezuelana. Il Nicaragua tiene meno banco rispetto al Venezuela, ma sarebbe bene osservare anche le vicende di questo Paese centroamericano, perché a Managua comanda e reprime il presidente-dittatore Daniel Ortega, il quale non è molto diverso da Nicolas Maduro. L’ideologia su cui si basa Ortega è il sandinismo, ispirato al guerrigliero anti-americano Augusto Sandino. Si tratta di un concentrato di marxismo e di odio viscerale verso gli Usa, quindi è quasi una fotocopia del socialismo bolivariano di Chavez e Maduro. Anche Daniel Ortega, come il suo sodale di Caracas, è passato dalla carica di presidente democraticamente eletto a quella di dittatore. Ha fatto scempio della Costituzione pur di garantirsi mandati presidenziali all’infinito, ha occupato le principali aziende pubbliche tramite amici fidati e familiari ed infine, ha ridotto al lumicino le opposizioni, utilizzando il carcere e minacce di vario tipo.
L’autoritarismo di Ortega sta tuttavia perdendo forza e l’inizio del declino del regime sandinista risale almeno al 18 aprile dell’anno scorso, data in cui molti giovani sono scesi in piazza per protestare contro la riforma previdenziale del governo, ma anche per dire basta, in modo più generale, alle prepotenze del presidente-dittatore. La repressione non è mancata nemmeno in Nicaragua, lasciando dietro di sé una scia di una sessantina di morti. Il caudillo rosso di Managua sembra essere disponibile oggi ad ascoltare le ragioni degli oppositori, tant’è che si sta svolgendo un tavolo, così chiamato, di dialogo nazionale fra il governo e l’alleanza civica, che raggruppa elementi della società civile e della politica, i quali avversano il regime di Ortega. Al tavolo era invitata, da entrambe le parti e in qualità di mediatrice, anche la Chiesa, ma la Conferenza episcopale di Managua ha preferito rinunciare. I vescovi nicaraguensi, per motivare la loro assenza dal tavolo di dialogo nazionale, spiegano come la loro missione sia quella di occuparsi delle persone in difficoltà, purtroppo numerose in Centroamerica, e di lasciare la gestione del potere temporale ad altri soggetti. Già queste affermazioni fanno onore al clero del Nicaragua. Esse riportano allo spirito fondamentale della Chiesa cattolica, che dovrebbe pensare più alle anime che ai corpi, aiutare, senza imporre, a credere coloro i quali, per varie ragioni, non ci riescono ed invitare al bene, perché c’è un “oltre” e non finisce tutto con la morte del corpo in carne ed ossa. Tutto questo dovrebbe essere addirittura scontato, ma raramente lo è stato e lo è, a causa sia di ampi settori del clero che pure di certa politica, che tira per la sottana alti prelati e papi, soprattutto quando le fa comodo.
Per i radical-chic di tutto il mondo, la Chiesa è reazionaria quando parla di gay e famiglia, ma essa diventa improvvisamente un faro nel momento in cui difende gli immigrati o si scaglia contro qualsiasi reazione militare delle democrazie volta a combattere il terrorismo islamico. Certo, anche nel rifiuto a partecipare al dialogo nazionale da parte dei vescovi nicaraguensi c’è qualcosa di molto terreno, ma non è da disprezzare. Daniel Ortega ha sempre avuto con la Chiesa un rapporto piuttosto controverso, fatto di avvicinamenti e di rapidi allontanamenti. Il leader nicaraguense ha più esperienza e sembra più scaltro di Maduro, quindi il cosiddetto dialogo nazionale potrebbe essere, forse, soltanto una mossa per guadagnare tempo e magari dare una rinnovata legittimità alla dittatura sandinista. Probabilmente i vescovi di Managua, già stanchi di essere presi in giro da Ortega, hanno fiutato l’imbroglio e piuttosto di divenire complici del mantenimento di un regime violento, preferiscono visitare i detenuti politici in carcere, nonostante siano già arrivate minacce di morte. Non è dato sapere quanto Papa Francesco appoggi il coraggio di questi fratelli nicaraguensi, viste le sue evidenti nostalgie per quella teologia della liberazione, che negli anni Settanta/Ottanta portò una fetta della Chiesa latinoamericana a solidarizzare con i guerriglieri marxisti, gli stessi da dove proviene Daniel Ortega.