Il segretario generale della Nato Jens Stoltemberg aveva utilizzato Twitter per annunciare che tutti i paesi alleati della Nato avrebbero firmato, il 6 febbraio a Bruxelles, insieme al ministro degli esteri di Skopje Nikola Dimitrov, il protocollo di adesione dell’Alleanza con la futura Repubblica del Nord Macedonia.
Lo scorso 29 gennaio, lo stesso ministro macedone aveva dichiarato che sarebbe stata solo una questione di pochi giorni e la Nord Macedonia avrebbe firmato il protocollo di adesione con i 29 Stati membri presso il quartier generale della Nato a Bruxelles. “Non abbiamo ancora una data precisa, non sappiamo esattamente in quale giorno, ma possiamo aspettarci che ciò accada la prossima settimana, quindi immediatamente il protocollo d’intesa sarà inviato al Parlamento ad Atene e sarà anche questa una questione di diversi giorni, che porrà comunque la parola fine di un’intera era”.
L’approvazione di Atene all’ingresso macedone in seno all’organismo internazionale consegue la parte finale dell’accordo di Prespa, stipulato recentemente. “Si creano, da un lato, grandi opportunità, mentre d’altra parte, ci sono molti obblighi amministrativi su cui dobbiamo lavorare”, ha detto sempre Dimitrov rispondendo a una domanda dei giornalisti prima di un dibattito organizzato sulla prospettiva europea del Paese.
Nelle stesse ore il ministro della difesa Shekerinska ha dichiarato che: “L’adesione alla Nato, che è certa, è la più forte garanzia di stabilità, sicurezza, immutabilità delle frontiere, conservazione dell’integrità territoriale della Macedonia, ma allo stesso tempo fornisce garanzie a tutti gli investitori nazionali ed esteri attuali e futuri ed è una vera politica in Macedonia per creare posti di lavoro più numerosi e meglio retribuiti”. La titolare del dicastero della difesa ha anche annunciato che a partire da subito l’intero focus del governo sarà diretto verso le riforme interne, il principio dello stato di diritto, la lotta alla corruzione, la crescita economica, la sicurezza sociale.
Infine, dopo il completamento dell’intero processo, il primo ministro nord macedone Zaev ha dichiarato di aspettarsi di avere un nuovo incontro con il primo ministro greco Alexis Tsipras, a Skopje o Atene, per confermare, ancora una volta sia al popolo greco sia a quello nord macedone che avranno grandi benefici dall’accordo di Prespa.
Tutto è andato come previsto e senza i proverbiali “intoppi”. Il 6 febbraio il segretario generale della Nato ha potuto dichiarare: “Oggi è un giorno storico. Una volta che tutti gli alleati avranno ratificato il protocollo, la Macedonia diventerà il trentesimo membro della Nato”. La firma dei 29 apre, infatti, il processo di ratifica. “Mi congratulo con Atene e Skopje per essere arrivati ad un accordo sul nome” del Paese balcanico, ha aggiunto. Con tempismo perfetto, venerdì 8 febbraio, il Parlamento di Atene ha poi ufficialmente ratificato il protocollo d’ingresso per la vicina Macedonia, ormai chiamata formalmente “Macedonia del Nord”, con 153 voti a favore, 140 voti contrari e un’astensione. “Il voto odierno mette un punto al più importante ciclo di obblighi inerenti alla Grecia”, ha annunciato il premier greco Alexis Tsipras, davanti al Parlamento, poco prima della votazione, aggiungendo: “Vorrei dare il benvenuto alla Macedonia del Nord, un Paese amico della Grecia, un Paese che deve essere un alleato negli sforzi volti a stabilire sicurezza, stabilità e pace nella regione”. “La storia ci giudicherà. Sento che abbiamo portato a termine il nostro dovere patriottico”, ha concluso il primo ministro greco.
Ma perché la Nord Macedonia, che è grande quanto il Piemonte, ha la metà della popolazione di Roma e delle forze armate numericamente non consistenti e non modernamente armate, è cosi strategicamente importante per la Nato?
Indubbiamente è la “porta” dei Balcani per le provenienze da sud e anche se con dimensioni minime, che non spostano in alcun modo gli equilibri internazionali, la sua ammissione indica che l’Alleanza Atlantica è sempre attiva, aperta a considerare l’ingresso di Paesi democratici e continua il suo consolidamento nei Balcani in chiave di contrasto all’influenza russa nella regione. Desta comunque curiosità, in chiave futura, sapere come Skopje si confronterà con la richiesta del presidente Usa Trump di aumentare al 2 per cento del Pil le spese per la difesa di tutti i Paesi dell’Alleanza. Va rilevato che la cooperazione tra Washington e Skopje risale all’inizio degli anni Novanta e si fonda sull’Accordo di partenariato strategico che negli anni ha dato un forte stimolo al processo di riforma delle forze armate macedoni, teso a raggiungere gli standard della difesa e della sicurezza Nato. Negli ultimi tempi Skopje ha voluto, comunque, sempre affermare la sua prontezza a entrare nell’Alleanza anche con la concessione della sua base militare di Krivolak, situata a nord-est della Macedonia, per attività di addestramento Nato. Si tratta della stessa base che nel 1998 l’allora presidente Gligorov rifiutò di concedere alla Nato, la quale intendeva utilizzarla come base di partenza per le operazioni aeree in un eventuale intervento in Kosovo.
Come noto nel Paese, oltre ai problemi etnico–religiosi, l’economia non è florida ed è in aumento la corruzione. Inoltre permangono le interferenze al processo di stabilizzazione di Russia, Turchia (in chiave anti adesione all’Unione europea) e alcuni Paesi del golfo arabico. In particolare, la Russia non vede assolutamente in modo positivo tale ulteriore espansione della Nato e quasi sicuramente attuerà delle misure di disturbo al processo di adesione e al suo consolidamento. E non va dimenticato che già lo scorso anno, il rappresentante permanente della Russia presso l’Ue Vladimir Chizhov, in un’intervista al quotidiano Ekathimerini aveva espresso la speranza che la soluzione della disputa sul nome tra Atene e Skopje potesse contribuire alla stabilità, ma aveva suggerito che la successiva adesione della Macedonia alla Nato sarebbe un “errore con conseguenze”. Era certamente una “manovra di disturbo” ma le dichiarazioni come la seguente lasciano più di un dubbio sulle conseguenze future dell’adesione della Nord Macedonia alla Nato.
“Certo, non lanceremo bombe nucleari … Come ho detto, ogni paese ha il diritto di prendere le proprie decisioni e commettere i propri errori”. “Eppure, ci sono degli errori… Ci sono degli errori che hanno delle conseguenze”. “La Russia non si oppone all’allargamento dell’Ue poiché ogni Paese ha il diritto di prendere le proprie decisioni, ma ha una posizione leggermente diversa sulla Nato”, aveva aggiunto terminando con una frase che non lasciava spazio a interpretazioni: “L’allargamento della Nato è qualcosa di diverso. Fondamentalmente, si tratta di un tentativo di contrastare minacce e sfide del XXI secolo attraverso mezzi e automatismi del XX secolo”.
La Nord Macedonia di domani ha, inoltre, un grosso problema di foreign fighters di ritorno. I dati a disposizione indicano che all’inizio del 2018, il numero di combattenti stranieri maschi che hanno lasciato il Paese per il “Siraq” era di circa 140. Inoltre, alla fine del 2017, 33 combattenti stranieri erano già stati uccisi e 80 erano ritornati in Macedonia (il secondo più alto numero di rimpatriati nei Balcani occidentali). La minaccia derivante dal ritorno dei combattenti stranieri in Nord Macedonia e il problema dell’estremismo violento in generale continua a essere elevato.
Con la percentuale di 1 su 4.545 – o 22 persone su 100.000 – la Macedonia ha il più alto livello pro capite di combattenti stranieri provenienti dalla popolazione musulmana in tutti i Balcani occidentali.
Chi conosce bene la Nord Macedonia non può comunque non affermare che la “quadratura del cerchio” per il Paese sarà sicuramente nella sua adesione all’Ue, con buona pace di Ankara, che, nonostante una cospicua minoranza di popolazione di provenienza turca, dovrà accettare di vedere Skopje guardare economicamente, e conseguentemente culturalmente, a nord.
“Possiamo già dire che Atene e Skopje hanno scritto, insieme, una nuova pagina del nostro comune destino europeo” hanno dichiarato congiuntamente il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, la vicepresidente e Alto Rappresentante Federica Mogherini e il commissario all’allargamento Johannes. Se le dichiarazioni di queste tre persone hanno un valore, c’è da attendersi qualcosa di veramente positivo in chiave euro-atlantica per quei due milioni di nord macedoni.