Finalmente qualcuno se n’è accorto. Il caso Navalny ha acceso i riflettori sulla gigantesca contraddizione che rende poco credibile la dura reazione di Berlino nei confronti di Mosca: quel Nord Stream 2 di cui molte volte abbiamo parlato su Atlantico Quotidiano.
Una contraddizione ben in evidenza da anni, come la lettera rubata del famoso racconto di Edgar Allan Poe, ma che le molte cheerleader di Angela Merkel nelle redazioni dei nostri media mainstream non hanno voluto vedere.
Ma il dibattito politico sul gasdotto in Germania è ripreso e persino da noi qualcuno se n’è accorto (o ha dovuto accorgersene).
L’ambiguità di Berlino nei suoi rapporti con Mosca era stata smascherata platealmente dal presidente Trump in persona già al vertice Nato del luglio 2018 (ma si sa, prendere sul serio le questioni che pone Trump non è giornalisticamente corretto…):
“La Germania è prigioniera della Russia sull’energia e noi dovremmo proteggerla dalla Russia? Ce lo spieghi”. “Molto triste che la Germania concluda un imponente accordo sul gas con la Russia, pagandole miliardi su miliardi di dollari l’anno, quando si suppone che noi dovremmo proteggerla dalla Russia. Non ha senso”.
Un punto da anni in cima alle rimostranze (bipartisan) di Washington verso Berlino, su cui il presidente americano è tornato anche più di recente: tu paghi miliardi di dollari alla Russia e noi dovremmo difenderti dalla Russia? Come funziona?
“We are supposed to protect Germany from Russia. But Germany is paying Russia billions of dollars for energy coming from a brand-new pipeline, so they pay the country we are supposed to protect them from billions of dollars. How does that work?”
Al recente forum del Marshall Fund il segretario di Stato Mike Pompeo ha provato a spiegare che “avere una quota significativa della propria energia legata alla Russia in modo così profondo e fondamentale offre a Putin la capacità di infliggere costi reali alla Germania, se decide o se minaccia di farlo”. “Noi – ha aggiunto Pompeo – consideriamo la Russia una seria minaccia. Spendere l’1 per cento del Pil nella difesa, come fa la Germania, significa che per loro non è una minaccia così seria”.
Ha commentato in questi giorni su Twitter l’ex segretario generale della Nato Rasmussen:
“La Germania sta chiedendo la solidarietà europea e Nato in risposta al vile avvelenamento di Navalny. La avranno, ma una sincera risposta da Putin è improbabile. È arrivato il momento per la Germania di fermare la costruzione del Nord Stream 2, prima che sia troppo tardi”.
Dunque, le dure dichiarazioni di Angela Merkel della scorsa settimana, annunciando l’esito delle analisi su Navalny, che le solite cheerleader della “statista” tra politici e giornalisti italiani si sono affrettate a celebrare sui social, rischiano di restare chiacchiere, un esercizio di retorica ipocrita, finché resta in piedi un progetto dal significato geopolitico come il Nord Stream 2. E si comincia a dire anche in Germania.
Ci sarà un inasprimento delle sanzioni Ue? Può darsi, ma probabilmente Putin non scambierebbe la revoca delle sanzioni con la rinuncia al gasdotto grazie al quale, ancor prima che entri in funzione, sta dividendo l’Europa e facendo litigare Washington e Berlino.
“Qualsiasi cosa dica Merkel sulla Russia non è credibile finché esisterà il Nord Stream 2“, ha commentato Edward Lucas, vicepresidente del Cepa (Center for European Policy Analysis), firma del Times e a lungo all’Economist, intervistato da Formiche.net: “Quel gasdotto russo rende futile ogni confronto con Mosca. Lei sostiene sia un progetto commerciale, ma nessuno le crede”.
La settimana scorsa, quando ancora di uno stop al gasdotto in relazione al caso Navalny non si discuteva, avevamo commentato così le parole della Merkel sull’avvelenamento (“un crimine contro i valori e i diritti fondamentali che difendiamo”), seguite da quelle della presidente della Commissione europea Von der Leyen (“atto spregevole e codardo”): tranquilli, nulla che possa mettere a rischio il Nord Stream 2…
E avevamo ironizzato sulle dichiarazioni del ministro degli esteri tedesco, Heiko Maas, che chiedeva una “reazione adeguata”… Da parte dell’Unione europea, ovvio. L’ipocrisia tedesca con l’Ue è la stessa segnalata dal presidente Trump nei confronti degli Usa e della Nato: si suppone che l’Ue debba reagire duramente, magari inasprendo le sanzioni contro Mosca, mentre la Germania continua a coltivare indisturbata la sua partnership energetica (e strategica?) con la Russia.
Quando c’è da scontentare Putin, Berlino si fa scudo dell’Ue: un po’ per dimostrare la sua leadership politica nel vecchio continente, un po’ per nascondere la sua mano tra le 27… Basti ricordare che tra marzo e settembre 2014 l’Ue ha adottato una serie di sanzioni, anche economiche – che le imprese tedesche non hanno difficoltà ad aggirare – in risposta all’annessione della Crimea e alla destabilizzazione dell’Ucraina da parte della Russia. Questo non ha impedito, dal 2015 e negli anni successivi, lo sviluppo del progetto Nord Stream 2 con tutte le benedizioni e autorizzazioni del governo tedesco.
Perché, stavolta, non comincia Berlino a rinunciare a qualcosa che le sta a cuore per sanzionare Mosca?
Di ieri un’intervista del ministro degli esteri Heiko Maas che troppo frettolosamente qualcuno ha interpretato come una “minaccia di fermare Nord Stream 2“, mentre la Repubblica gli fa dire “pronti a bloccare il gasdotto”. Ebbene, a precisa domanda, ecco come ha risposto:
“In ogni caso, non spero che i russi ci costringano a cambiare il nostro atteggiamento nei confronti del Nord Stream 2. E chiunque lo richieda deve essere consapevole delle conseguenze. Più di 100 aziende di dodici Paesi europei sono coinvolte in Nord Stream 2, circa la metà delle quali tedesche… Limitare il dibattito al solo Nord Stream 2 non rende giustizia al caso (Navalny, ndr)”.
Non so a voi, ma a me non suona come una minaccia, né tanto meno come un ultimatum. Semmai, come un timido tentativo di allentare la pressione sul governo esercitata in questi giorni da settori della stessa maggioranza, dall’opposizione e da qualche voce della stampa.
Va osservato infatti che il ministro Maas parlava alla Bild, cioè il giornale che nei giorni scorsi aveva lanciato la richiesta di sospendere la realizzazione dell’opera per mettere pressione a Mosca sul caso Navalny.
E non è la prima volta che esponenti di spicco della CDU, lo stesso partito della cancelliera, come Norbert Röttgen, presidente della Commissione affari esteri del Bundestag, o i Verdi, oggi principale partito di opposizione, chiedono di fermare il progetto. Il primo da atlantista, preoccupato per le tensioni che sta provocando tra Berlino e Washington, i secondi innanzitutto mossi dal loro credo ambientalista. Chiaramente, il caso Navalny, e la dura reazione della Merkel, hanno fornito a tutti i critici del gasdotto in Germania l’occasione per tornare alla carica.
Ma Angela Merkel si è sempre mostrata determinatissima a portare a compimento l’opera. Le sue dichiarazioni in tal senso, anche di aperta sfida al malcontento di Washington, si sprecano. L’ultima delle quali arrivava proprio nel bel mezzo del caso Navalny, il giorno prima della conferma dell’avvelenamento da Novichok: “Il caso Navalny e l’assassinio di un ribelle ceceno a Berlino devono mantenersi separati dal Nord Stream 2, che è un progetto economico privato e come tale dev’essere portato avanti”, sono state le parole della cancelliera, già riportate su Atlantico da Enzo Reale. E aveva ribadito che Berlino ritiene “illegali” le sanzioni extraterritoriali Usa criticando la minaccia di ulteriori sanzioni.
I tedeschi stanno spingendo per una risposta a livello Ue e a luglio l’Alto rappresentante Josep Borrell aveva anticipato che la Commissione europea “sta preparando il terreno” per contro-sanzioni. Sarebbe l’ennesimo atto di protervia tedesca: perché l’Ue dovrebbe aprire una disputa a colpi di sanzioni con gli Usa, che danneggerebbe tutti gli stati membri, per difendere una scelta di politica energetica di Berlino? Perché gli altri Paesi dovrebbero subire le ripercussioni delle loro tensioni con Washington?
Se verrà completato, Nord Stream 2 sarà un monumento all’ipocrisia di Berlino. I tedeschi percepiscono la propria politica europea come un modello di europeismo responsabile e disinteressato, a fronte degli egoismi e dei vizi nazionali altrui, mentre sono sempre pronti a incolpare Washington per le tensioni nei rapporti transatlantici. Eppure, questo progetto, così divisivo nelle relazioni intra-europee e nei rapporti transatlantici, mostra quanto nazionalista sia in realtà la politica tedesca.
Berlino ha voluto fortemente il Nord Stream 2 sfidando non solo gli Stati Uniti, ma anche la contrarietà dei Paesi di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria), dei Baltici, dell’Ucraina, e anche della Commissione Juncker, che ha provato a bloccarlo e modificarlo imponendo anche ad esso la regolamentazione Ue. Tentativo fallito, come raccontammo su Atlantico.
Mentre in Germania riprendono vigore le richieste di fermare l’opera per il caso Navalny, quello che pochi sanno è che di fatto la pipeline è già sospesa, la posa dei tubi si è arrestata a pochi chilometri dal suo completamento a causa delle sanzioni Usa che colpiscono le compagnie coinvolte anche indirettamente nel progetto. Quindi, al momento, una minaccia di sospensione da parte del governo tedesco non cambierebbe la realtà sui fondali del Mar Baltico.
Una ipotesi suggestiva è che il caso Navalny possa essere usato da Berlino come pretesto per uscire dal vicolo cieco ed evitare una rottura con gli Stati Uniti salvando la faccia: “se il Nord Stream 2 non si è fatto, non è per le pressioni Usa, ma per i crimini e la mancanza di collaborazione di Putin…”. Resta il fatto che, in questo caso, il presidente Trump potrà facilmente presentare l’aborto del gasdotto in extremis come uno straordinario successo diplomatico ed economico a meno di due mesi dalle elezioni. Possibile che la Merkel voglia fargli questo regalo?
Che sopraggiunga la decisione politica di rinunciare al gasdotto lo riteniamo francamente improbabile. Un possibile esito quindi potrebbe essere l’inasprimento delle sanzioni Ue verso Mosca: diplomatiche, personali, economiche – tutto tranne Nord Stream 2.
Invece di chiedersi se il gasdotto possa finire sul tavolo delle trattative sul caso Navalny, ci chiederemmo se il caso Navalny non sia diventato per Berlino un’arma di pressione su Mosca per ottenere altro…
“È l’apice di una politica energetica che a questo punto non dà alternative alla Germania”, ha osservato Wolfgang Munchau. “Un ritiro da Nord Stream 2 dovrebbe essere accompagnato dalla decisione di estendere la vita delle restanti centrali nucleari e a carbone”. Oppure, aggiungiamo noi, di comprare gas liquefatto dagli Usa… Secondo l’analista, gli ostacoli al completamento del gasdotto restano “formidabili”. Germania e Russia possono aggirare le sanzioni esistenti, “ma così facendo Berlino rischierebbe una rottura con gli Stati Uniti”, chiunque dovesse trovarsi alla Casa Bianca tra due mesi – anche se con Trump la pressione Usa diventerebbe “intollerabile”.
Il caso Nord Stream 2, conclude Munchau, “dimostra cosa succede quando si diventa eccessivamente dipendenti da un altro Paese, e quando si elevano gli interessi economici a unico obiettivo politico”. E assisteremo al ripetersi dello stesso copione in autunno, quando Berlino prenderà la sua decisione sull’accesso di Huawei nella sua rete 5G. “La Germania si è resa dipendente dalla Russia per l’energia e dalla Cina per le telecomunicazioni. Questo è ciò che guida la politica estera tedesca oggi. Non lasciatevi ingannare dalla retorica che cambia…”