Speculazioni sul colpo di scena che ha stravolto la corsa alla Casa Bianca. Sono saltati tutti gli schemi, elezioni più che mai imprevedibili
Rispettata in pieno la tradizione della “October Surprise”, che negli anni di elezioni presidenziali Usa definisce l’ultimo mese di campagna. In questo 2020, di “surprise” ce ne sono state fin troppe dall’inizio dell’anno, ma quella di ottobre si è presentata puntuale e stavolta non è opera dei team dei due candidati o della stampa. Certamente Pechino non poteva sperare di meglio che vedere il virus partito da Wuhan raggiungere la Casa Bianca e dare una bella sforbiciata alle chance di rielezione del presidente che ha apertamente sfidato l’ascesa cinese. Se fosse un piano, non potrebbe andar meglio…
A Joe Biden, che praticamente tutti i sondaggi danno in vantaggio, arriva in sorte un insperato aiuto sul finale di una campagna già molto in salita per Trump – anche se non sempre per demeriti suoi. Lo stesso Biden, secondo i media liberal, si sarebbe aggiudicato il primo dibattito presidenziale – strano però che da sinistra siano giunti molti appelli a modificare le regole dei dibattiti o addirittura a cancellarli del tutto…
Ma in queste ore tutti si chiedono quale impatto potrà avere sulla volata finale della campagna, e sul voto, la positività al coronavirus della coppia presidenziale.
In una campagna già funestata da una serie di eventi senza precedenti – dalla pandemia di Covid-19, con annessa una storica crisi economica, alle rivolte in molte città Usa – se ne aggiunge ora un altro di difficilissima interpretazione. Vi inganna chi si dice certo dell’effetto che può avere sull’elettorato un colpo di scena di tale portata. Sono saltati tutti gli schemi, elezioni più che mai imprevedibili.
Premesso che da quattro anni ci troviamo in una terra politicamente ignota, dove nella pancia dell’elettorato, non solo negli Stati Uniti, si muovono pulsioni difficilmente controllabili, e dove l’intreccio di variabili è ormai inestricabile, siamo consapevoli di entrare nel campo delle speculazioni più che dell’analisi. A nostro avviso non c’è alcun automatismo, nessun nesso causa-effetto per cui la positività di Trump determini inevitabilmente la sua sconfitta il 3 novembre prossimo. Dipende ancora da troppi fattori, da come evolverà la situazione nelle prossime due settimane. Al momento il presidente pare presenti sintomi lievi, è salito con le sue gambe sull’elicottero che l’ha portato al Walter Reed Hospital dove verrà sottoposto ad una cura sperimentale e monitorato. Ma le sue condizioni peggioreranno? Riuscirà a sconfiggere il virus? In quanto tempo e in quali condizioni ne uscirà? Quali mezzi potrà e saprà utilizzare nel frattempo per comunicare e continuare la campagna? E, non ultimo, come riuscirà ad esercitare le sue funzioni di presidente?
Le risposte a queste domande potrebbero ancora mutare il quadro in un senso o nell’altro.
Non c’è dubbio però che al momento si tratta di un brutto colpo per le ambizioni di rielezione del presidente in carica. Innanzitutto, nelle settimane cruciali non potrà viaggiare e fare campagna fisicamente negli stati in bilico, mentre a quanto pare Biden ha deciso di continuare senza variazioni di programma (ieri si è recato in Michigan). Un primo vantaggio non da poco. Avrebbe potuto concedere almeno il bel gesto di annullare gli eventi dei prossimi giorni. A parti invertite, Trump sarebbe stato già accusato di cinismo.
Ma soprattutto, come prevedibile, Biden e i media liberal stanno già cercando di cavalcare il vantaggio a livello di narrazione. Pur comprendendo la minaccia per la salute, ma anche il tremendo impatto a lungo termine sull’economia, Trump ha adottato una comunicazione pubblica volta a minimizzare, persino a sfidare il Covid-19, non rinunciando ai rally affollati e non indossando la mascherina in pubblico, e ha spinto per far ripartire prima possibile il Paese. Al contrario, il suo sfidante sosteneva il lockdown e restava nel “seminterrato”, mostrandosi in pubblico solo con una mascherina da cui spuntavano a malapena gli occhi. Ebbene, la positività di Trump e Melania permette oggi a Biden di rivolgersi agli americani e dire loro che il suo avversario è in quarantena a causa del virus che aveva sottovalutato. Che il presidente ha fallito nel proteggere il Paese così come ha fallito nel proteggere se stesso. Non importa quanto ci sia di vero e quanto, invece, la questione sia molto più complessa: in effetti, i poteri di governatori e sindaci nella gestione dell’emergenza, dalle misure restrittive alle strutture sanitarie, sono molto più incisivi e decisivi di quelli a livello federale. Ma oggi è questa la narrazione che la positività di Trump offre su un piatto d’argento ai Democratici.
Certo, anch’essi devono maneggiare con molta cura la nuova situazione. Non cancellare eventi, lasciarsi andare a commenti sgradevoli, addirittura augurandosi la morte dell’avversario, potrebbe esporre un livello di cinismo tale da urtare la sensibilità degli elettori indipendenti. C’è da dire che Biden l’ha subito compreso, da politico navigato. Perfetto il tweet pubblicato mentre Trump si stava trasferendo in ospedale: “This cannot be a partisan moment. It must be an American moment. We have to come together as a nation”. Ma ora il dilemma è: fermare o non fermare, almeno per qualche giorno, la campagna? Non fermarsi potrebbe davvero dare l’impressione di scarso fair play.
Ma non sarà un moto di empatia a garantire la rielezione al presidente Trump. Le sue residue chance sono inevitabilmente legate al superamento della positività al coronavirus in tempi molti brevi. Se riesce a tornare in campo presto, e bene, potrebbe ancora rigirare la narrazione a suo favore, dimostrando che come ha sempre sostenuto si può, e si deve, convivere con il virus, senza chiudere il Paese, e presentandosi come una sorta di Highlander, vincitore anche dell’ennesima battaglia, dopo aver già sconfitto nemici formidabili come Hillary Clinton, il Russiagate, l’impeachment e tutte le avversità del primo mandato.
D’altronde, nonostante sia l’etichetta che stanno cercando di attaccargli addosso, Trump non è mai stato “negazionista” sul coronavirus, come invece potrebbe essere definito chi da noi abbracciava cinesi e mangiava involtini, e anche all’apice del contagio andava a farsi gli aperitivi a Milano. Trump ha prontamente chiuso ai voli dalla Cina, scelta per cui fu criticato da Biden e dai Democratici con la solita accusa di “razzismo”. Si è mobilitato per le navi ospedali e l’acquisto dei dispositivi sanitari, per il vaccino e le cure. La sua posizione, questo sì, è sempre stata di cercare di convivere con il virus senza fermare le attività economiche e, laddove si sono dovute fermare, per farle ripartire al più presto. Viceversa, molti governatori Democratici sono apparsi quasi tifare per il virus per calcolo politico, alcuni arrivando a prospettare la completa riapertura dei loro stati solo dopo le elezioni presidenziali.
Sono molti i fattori che rendono a nostro avviso difficile, ma non ancora impossibile, la rielezione di Trump: Biden non suscita la repulsione che suscitava la Clinton; l’emergenza Covid e la crisi economica, le rivolte… Forse ci sarà tempo e modo per approfondirli in un prossimo articolo. Ma tra tutti, i sondaggi sono davvero l’ultimo dei segnali da tenere in considerazione.