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Al verde in tutti i sensi: oggi il compleanno delle Nazioni Unite, un carrozzone che ormai ha ben poco da festeggiare

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Le Nazioni Unite celebrano il loro 74esimo compleanno oggi, 24 ottobre, ma c’è poco o nulla da festeggiare. Non solo le recenti notizie sulle difficoltà finanziarie dell’Onu sono balzate agli onori della cronaca; profonde riflessioni sul valore e la funzione di questo organismo, che ha visto la luce con la Carta di Francisco del 1945, sono ormai sulla bocca nella comunità internazionale. E non da oggi.

Nata alla fine del secondo conflitto mondiale con l’idea di creare un governo universale che preservasse la pace nel mondo, l’Onu è stata vittima del suo stesso ideale egualitarista ed internazionalista, e si trova ora in uno stato di coma, forse irreversibile. I suoi organi istituzionali – fra tutti il Consiglio di Sicurezza – sembrano obsoleti rispetto a un mondo in costante evoluzione, e vengono usati dalle Grandi Potenze per impedire la risoluzione delle controversie tramite il loro veto, più che per dirimerle. Il caso della Siria è emblematico. Scavalcata dalla potenza di fuoco della Nato in Kosovo e, in maniera molto più controversa, in Iraq, l’Onu ha mostrato una totale incapacità di adattarsi prima alla pax americana, e, successivamente al mondo multipolare. Una perdita di credibilità che risale alla tragedia di Srebrenica del 1995, quando i caschi blu inviati dalle Nazioni Unite non seppero impedire il massacro di 8 mila musulmani perpetrato dai serbo-bosniaci guidati da Ratko Mladic.

L’amministrazione neocon di George W. Bush ne ha sempre messo in dubbio l’utilità e anche Donald Trump – non certamente un seguace di Wolfowitz o del regime change – ha lanciato più di una frecciata all’organismo affermando che “il futuro appartiene ai patrioti, non ai globalisti”.

Senza un soldo e senza un ruolo che possa incidere e influire sugli equilibri globali, le Nazioni Unite si sono anche distinte – si fa per dire – negli ultimi tempi, per alcune scelte piuttosto bizzarre. Lo scorso 18 ottobre il Venezuela – dove da tempo è in atto una feroce repressione delle opposizioni politiche e sociali da parte del regime di Nicolas Maduro – ha ottenuto un seggio al Consiglio per i Diritti Umani. A fargli compagnia, per un mandato triennale, la Libia. Il pedigree dei due paesi non pare il più adatto per trattare materie così delicate, ma va rilevato che tra i 47 paesi che fanno parte del Consiglio c’è anche Cuba. Giusto per non farsi mancare niente.

Lo stile di vita di alcuni funzionari e dirigenti – ragione per cui si è deciso, tardivamente, di chiudere i rubinetti – mal si concilia con l’impegno dell’organizzazione in tema di sostenibilità e con l’Agenda 2030 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che prevedono, manco a dirlo, più equità, la lotta alla fame e alla povertà. Già, perché venuto meno il suo ruolo di garante internazionale della pace e nella prevenzione dei conflitti, l’Onu ha cercato di riproporre il suo ideale di governo mondiale in ambito sociale e ambientale, ospitando Greta Thunberg al Climate Action Summit dello scorso settembre e coltivando la Rivoluzione Verde. Proprio come le sue tasche.

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