Oggi il voto in Uk, tornata sfavorevole per i Tories: sfida a Johnson

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Giovedì in coda ai seggi per i cittadini britannici. Oggi, infatti, si rinnoveranno 132 councils in Inghilterra, tutti e 32 in Scozia, tutti e 22 in Galles e, in più, piatto forte della tornata elettorale, si voterà anche per decidere i 90 rappresentanti della Northern Ireland Assembly, in quella che potrebbe essere una tornata storica per Belfast.

Terreno sfavorevole ai Tories – Per Boris Johnson e per i Tories non si tratta di elezioni che cadono in un momento favorevole. E, per di più, i territori contesi sono da sempre terreno minato per i Conservatori. Si vota nei 32 borough del feudo Laburista di Londra. Si vota nelle home nations, sempre poco inclini a votare a destra. Si vota, infine, in un momento in cui sia il primo ministro sia il partito di cui è leader sono sotto tiro per l’esplosione della “questione morale”. Le dimissioni del deputato Tory Neil Parish, accusato di aver guardato un filmato porno in aula alla Camera dei Comuni e altre questioni legate a corruzione e sessismo a Westminster potrebbero far sì che il malcontento dell’elettorato venga riversato sul partito che da 12 anni governa il Paese. Anche perché l’inflazione morde e il carovita su generi alimentari e bollette sta lasciando sempre meno soldi nelle tasche degli inglesi. Si parla meno invece del Partygate, anche perché il leader Laburista Sir Keir Starmer si trova coinvolto in una polemica sulla violazione delle norme ai tempi del lockdown quando si trovava a Durham durante la scorsa campagna elettorale.

Patto di desistenza Lib-Lab? – Secondo le proiezioni del Daily Telegraph i Conservatori dovrebbero perdere più di 800 seggi in tutto il Regno Unito, mentre il Labour dovrebbe aumentare la sua quota più o meno della stessa cifra. Il presidente dei Tories Oliver Dowden ha denunciato una sorta di patto di desistenza tra i Laburisti e i Libdems che vedrebbe i candidati dei rispettivi partiti lasciare il passo a quelli meglio piazzati per battere i Tories a seconda dell’area geografica. E così nel vecchio Red Wall dipintosi di blu alle elezioni di Natale del 2019, i LibDems non ostacolerebbero il ritorno in forza di Starmer, mentre nella prospera Inghilterra del Sud il Labour lascerebbe strada ai LibDems, che già hanno sconfitto i Tories in occasione di alcune elezioni suppletive.

Secondo Dowden i LibDems contesterebbero solamente il 56 per cento dei seggi nel nord-est del Paese, mentre nel sud-est il Labour è presente solamente nel 61 per cento dei collegi. Dati piuttosto evidenti, che potrebbero aprire anche a un patto per un eventuale governo di coalizione Lib-Lab dopo le elezioni generali del 2024. Starmer, però, ha definito “disperati” i Tories, rispondendo alla lettera che gli ha inviato pubblicamente Dowden, mentre Sir Ed Davey ha rimarcato ai microfoni della BBC come i LibDems si siano impegnati per candidare dei loro rappresentanti nelle liste dei councils di Hull, Sunderland, Sheffield, e nei borough londinesi rossi come Haringey e Southwark.

Johnson in pista, Jeremy Hunt insidia la sua leadership? – Anche Boris Johnson è sceso in campo negli ultimi giorni. La polemica sul suo volto, “misteriosamente scomparso dai volantini elettorali dei Conservatori”, secondo il Labour non ha impedito al premier di prendere parte alla campagna elettorale. Johnson sa che il risultato non gli sorriderà, ma un ministro del suo governo, il titolare del Business Department, Kwasi Kwarteng, ha affermato che “la sua posizione è al sicuro qualsiasi sarà il risultato elettorale”. Nel frattempo ci sono rumours sempre più consistenti di una possibile candidatura a leader del partito di Jeremy Hunt, l’ex ministro degli esteri e ora presidente della Commissione Sanità della Comuni, già sconfitto da Johnson nel leadership contest del luglio 2019.

A Londra candidati anche italiani – Si vota anche nella constituency di Johnson – South Ruislip and Uxbridge – ma gli occhi dei Tories sono su altri due borough, Westminster e Wandsworth. Per i Conservatori mantenere la maggioranza lì sarà fondamentale. Peraltro c’è anche un po’ d’Italia da quelle parti. Sono attivi nella campagna elettorale a Westminster gli Italian Conservatives, mentre il fondatore del gruppo, Chris Vinante, si candida a Shepherd’s Bush. Wandsworth, culla del thatcherismo e zona Tory dal 1978, è il territorio dello storico adviser di Johnson, Sir Edward Lister. Anche qui sventola il tricolore con la candidatura a councillor di Salvatore Murtas.

A Belfast, Sinn Fein verso la vittoria – E a proposito di tricolore, non si può non parlare d’Irlanda, anche se in questo caso è l’Irlanda del Nord ad andare al voto. Secondo i sondaggi dovrebbero essere i nazionalisti del Sinn Fein a vincere e sarebbe la prima volta nella storia. In campagna Michelle O’Neill e Mary Lou Mcdonald, le due donne leader del partito, hanno tenuto un profilo bassissimo sulla riunificazione dell’isola, parlando soprattutto di carovita e liste d’attesa degli ospedali. Problemi concreti, che, però, secondo gli unionisti mascherano la volontà di procedere a un referendum su “Una sola Irlanda” una volta al governo.

Ma ci andranno realmente al governo? Secondo gli unionisti, no. La formula di governo del Paese è definita dall’Accordo di Belfast del 1999 e prevede il mandatory power-sharing: primo ministro è il leader del partito con più voti, mentre il ruolo di suo vice (ma con i medesimi poteri) spetta al leader del partito della seconda comunità politico-religiosa. In questo caso, per la prima volta, gli unionisti. Che stanno facendo campagna contro il Protocollo Nordirlandese uscito dalle negoziazioni per la Brexit, ma anche contro un eventuale governo a guida cattolico-nazionalista, che sono pronti a disertare. Si prospetta un ritorno dei poteri nuovamente al Northern Ireland Office di Londra, e non è da escludere una crisi costituzionale con rischi anche per la stabilità politica e sociale delle sei contee.

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