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Ombre cinesi, non russe: non è che ci preoccupiamo troppo dell’influenza di Mosca e troppo poco dello shopping di Pechino?

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Proviamo a fare il giochino che va per la maggiore in questi giorni: supponiamo.

Supponiamo che non sia la grande madre Russia il pericolo per la nostra democrazia, con i suoi tentativi di finanziamento internazionale ad un partito politico italiano, la Lega delle intercettazioni di Savoini, tramite non ben identificate speculazioni o operazioni finanziarie su partite di petrolio russo mai venduto e trattative mai concluse. E sia invece la Cina, con i suoi 3,7 miliardi di dollari di recente investimento in otto porti del Mediterraneo.

Il ragionamento qui proposto è azzardato e provocatorio ma non del tutto astruso.

In Italia in particolare, i porti interessati dal progetto cinese di espansione sono Genova, Savona e Trieste, raggiungibili attraverso il canale di Suez.

Le due major di proprietà cinese Cosco e Qingdao – e ricordiamo che di quasi tutte le imprese cinesi il padrone è sempre lo stato cinese – hanno già investito complessivamente oltre 70 milioni di euro, compresi i progetti di espansione della strombazzatissima BRI, la Belt and Road Initiative, cioè l’autostrada commerciale che consentirà di trasportare e quindi esportare le merci cinesi dalla lontana Cina a praticamente dovunque in Europa, medio Oriente e Africa, con la conseguente apertura di centri di manifattura un po’ ovunque, che è stata chiamata la “nuova Via della Seta”.

Ma quanto e dove ha già investito la Cina in Italia? Fca, Telecom Italia, Enel, Generali e Terna, una quota di controllo in Pirelli per 7,3 miliardi di euro, l’Inter e la quasi totalità del Milan con partecipazioni per 740 milioni, 400 milioni di euro di Shanghai Electric in Ansaldo Energia e l’acquisizione del 35 per cento di Cdp Reti da parte di China State Grid, la più grande compagnia elettrica cinese, per un valore complessivo di 2,81 miliardi di euro.

Ovviamente nel mirino cinese sono caduti anche i gruppi dell’agroalimentare, come l’Olio Sagra e la Filippo Berio, in cui il gruppo cinese Bright Food ha acquisito una quota di maggioranza, e quelli della moda e del lusso, la storica casa Krizia oggi è cinese e, ancora, Buccellati Gioielli e Ferretti Yatch.

E chissà quante partecipazioni minoritarie nascoste in società che si chiamano comunemente, appunto, scatole cinesi.

Tra i più significativi l’acquisizione del 100 per cento del gruppo Esaote, leader nel settore delle apparecchiature mediche, da parte di un consorzio del quale fa parte anche Yufeng Capital, co-fondato dal patron di Alibaba, Jack Ma.

Il tutto sotto il contentino ideologico e mediatico che se la Cina viene a investire qui e compra tutto è “perché qui c’è ancora il valore della qualità” e che, secondo quanto dichiarato all’inizio di questa avventura speculativa portuale dal presidente di Assoporti e fedelmente riportato dal Sole 24 ore, non puoi fermare il mondo che si evolve perché all’Italia serve una spinta industriale. All’Italia serve una spinta industriale… cinese. Chiaro no?

Ad oggi, poi, mentre Trump mette dazi e impedisce vendite ai colossi tecnologici cinesi a tutela del mercato ma soprattutto della privacy, dice, in Italia gli imprenditori nati in Cina ma che lavorano qui sono circa 50.800, concentrati soprattutto in Toscana e Lombardia.

Fatto questo doveroso excursus altamente sommario – perché altrimenti dovremmo affrontare anche i temi della conquista dell’approvvigionamento idrico dell’acqua potabile e agricola da parte della Cina in tutto il mondo, persino in Australia dove l’acqua di per sé già scarseggia, dell’espansione immobiliare in Asia centrale e sudorientale, e in Africa, e prima o poi dell’espansione militare, perché costruire una base navale quando hai già i porti è un attimo – voi direte: cosa ci interessa a noi della nuova geopolitica imperialista della Cina?

Più di un analista economico e politico si è posto il problema di questa strategia di penetrazione “soft” nei tessuti economici della varie nazioni colonizzate come in un film sugli alieni, dove da un altro pianeta i mostri cattivi vengono a sfruttare le risorse dei gonzi terrestri; nel caso di specie si direbbe che l’idea è quella di sfruttare le risorse altrui per non esaurire quelle proprie ottenendo un controllo occulto sulla politica dei paesi invasi. Come? Eh, non è dato saperlo. Oppure di “prestare” di fatto denaro per infrastrutture ad opera cinese in cambio di… anche questo non è dato apertamente saperlo, ma diciamo “scambi commerciali”.

Nel 2017 la CGIA di Mestre ci diceva che l’ammontare complessivo delle somme di denaro inviate “a casa” dagli immigrati cinesi presenti in Italia era stato di 136 milioni di euro. Un salto quantico rispetto a quello che era successo nel 2012, quando erano stati inviati in Cina ben 2,6 miliardi di euro. “Questo crollo può essere spiegato da un lato con la maggiore propensione degli immigrati cinesi ad investire in Italia, riducendo i legami con il paese d’origine, dall’altro con l’intensificazione dei controlli sulle transazioni (money transfer), volti a diminuire gli utilizzi impropri di questo canale”. Oppure? Oppure che lo spostamento di somme avvenga attraverso quote societarie anche minime e relative transazioni invisibili? I miliardi in cinque anni non si ritirano come la marea e nemmeno spariscono nel nulla.

Alla Bloomberg, dove non sono proprio gli ultimi arrivati, si sono accorti che la Cina sta bypassando i governi nazionali per ottenere influenza economica e, è abbastanza ovvio anche a chi di economia o di politica non mastichi, che il salario di centinaia di migliaia di lavoratori italiani o il “credito” per infrastrutture diventa politica, influenza politica e perdita di sovranità.

Altro che attività di lobby o addirittura corruzione internazionale per una partita di petrolio russo e un ipotetico finanziamento illecito a un partito, per di più conto terzi.

Dei diversi meeting in Cina del ministro Tria o del vice premier Di Maio e del sottosegretario Geraci, che hanno portato alla sigla del recente accordo Italia-Cina di Palazzo Madama, non sono uscite intercettazioni di dubbia fonte su BuzzFeed relative a promesse o storni di somme per finanziamenti a enti pubblici, associazioni politiche o società private; né è dato sapere di faccendieri, mediatori regolari o presidenti di associazioni Italia-Cina che nel corso di questi incontri istituzionali o in quelli para istituzionali in qualche hotel abbiano discusso di commercio, finanza, ambiente, gemellaggi, né se alcuni dei lobbisti avessero sulla scrivania dell’ufficio la foto di Mao o di Pol Pot come Savoini quella di Hitler. Note di colore, ma chissà che gli occhi, i media e i registratori non siano da puntare altrove, più a sud est, dove forse si sta davvero svendendo, o proprio vendendo, la nostra sovranità e non si sa neanche bene come.

Forse non è tutto solo petrolio russo quello che luccica nei ben confezionati specchietti per le allodole. O magari la Cina viene a investire qui solo perché dormiamo in piedi mentre siamo, ancora e sempre solo da una parte, quella che non piace alla stampa nazionale e internazionale non liberale che gode a chiamarti nazista e fascio-leghista, costretti a supporre e ad avvalerci della facoltà di non rispondere.

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