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Ogni onore a Thomas Jefferson: dalla dichiarazione di indipendenza alla lotta contro la tratta di schiavi

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Qualche giorno fa gli americani hanno festeggiato il Washington’s Birthday, altrimenti noto come Presidents’ Day. E’ una festa federale in cui vengono celebrati i presidenti degli Stati Uniti e che, dal 1885 in avanti, cade ogni anno il terzo lunedì di febbraio (anche se il compleanno di George Washington sarebbe il 22 di quel mese). The American Thinker, un apprezzato online magazine conservatore, ha colto l’occasione per celebrare Thomas Jefferson, un presidente tanto grande quanto, al momento, sotto attacco costante da parte dell’intelligentsia liberal per via del fatto che, al pari di Washington, era un possessore di schiavi. Niente di sorprendente in un’epoca in cui nelle università americane (e non solo) si mettono in discussione praticamente tutti quei grandi della storia, delle arti e della cultura che possano essere attaccabili in nome di qualche episodio, scritto, presa di posizione non perfettamente in linea con i dogmi della political correctness. A cominciare da Cristoforo Colombo… Ovviamente non si tiene in alcun conto il fatto che ogni personaggio storico va contestualizzato nel suo tempo, profondamente diverso dal nostro, e che i valori e le convinzioni del XXI secolo non possono essere applicati tout court ad altre epoche storiche…

Il taglio dato all’articolo dall’autrice, Elise Cooper, è quanto di più pedagogico si possa immaginare, infatti ha semplicemente dato la parola ad alcuni storici, riportando come premessa il giudizio che Abraham Lincoln diede del suo illustre predecessore, e cioè:

“Ogni onore a Jefferson – all’uomo che, nell’infuriare di una lotta per l’indipendenza nazionale, ebbe la freddezza, la lungimiranza e la capacità di inserire all’interno di un documento meramente rivoluzionario una verità astratta, applicabile a tutti gli uomini e in ogni tempo.”

Il testo cui Lincoln fa riferimento è ovviamente la Dichiarazione d’Indipendenza, cioè il documento fondamentale e la bussola morale degli Stati Uniti d’America. “Noi tutti sappiamo della Dichiarazione di Indipendenza e dell’acquisto dell’enorme territorio della Louisiana [dalla Francia, n.d.r.],” spiega lo storico John B. Boles, “e questo già sarebbe sufficiente per mettere una persona in cima a qualsiasi lista di meriti storici. Ma egli pose anche le premesse per la libertà religiosa, ora inclusa nel Primo Emendamento, e fondò l’Università della Virginia…” Attenzione, a tal proposito mi corre l’obbligo di segnalare un risvolto molto importante: quell’università è stata la prima in America ad offrire studi su discipline quali l’Architettura, l’Astronomia e la Filosofia, nonché la prima a separare istruzione e chiesa! Certo, continua Boles:

“Tutti sappiamo che egli aveva degli schiavi, la qual cosa è inconciliabile con le sue convinzioni in materia di libertà e tolleranza. Tuttavia, quello era il modo in cui era organizzata l’economia nella Virginia del suo tempo. E’ per questo che parecchi tra i primi presidenti erano possessori di schiavi. E’ una macchia innegabile in una vita per tutto il resto segnata dalla grandezza, ma non dovrebbe oscurare le cose buone che egli ha realizzato. Questo include, nella fase conclusiva del suo primo mandato, la riduzione delle tasse e del numero dei dipendenti pubblici, nonché un taglio significativo del debito federale.”

Un altro storico, Sally Cabot Gunning, a proposito degli schiavi, racconta un fatto poco conosciuto: nella bozza della Dichiarazione di Indipendenza Jefferson aveva scritto: “La schiavitù è una guerra crudele contro la stessa natura umana.” Sfortunatamente, altri la vollero cancellare. La sua influenza, comunque, fu determinante, negli anni successivi, nella decisione della Virginia di vietare l’importazione di schiavi. E in un messaggio al Congresso nel 1806 egli denunciò il commercio internazionale di schiavi e chiese al Congresso medesimo che lo proclamasse reato federale. “E’ necessaria una legge,” egli disse, “che faccia recedere i cittadini degli Stati Uniti da qualsiasi ulteriore partecipazione a queste violazioni dei diritti umani.” Il Congresso recepì l’istanza e l’anno dopo approvò la legge che proibiva definitivamente l’importazione degli schiavi.

Nel suo Washington: A Life, Ron Chernow scrive che Jefferson credeva in un potere federale limitato, nell’importanza dei diritti degli stati dell’Unione, e nella necessità di confidare nella saggezza dell’uomo comune. La sua filosofia politica, si può dire, è imperniata sulla fede nella gente comune. E John B. Boles commenta: “Jefferson è considerato il campione del ‘piccolo uomo’. Se credi nella massima espansione della democrazia, nelle elezioni e nella politica anti-monarchica, Jefferson dovrebbe essere il tuo eroe.”

Per non parlare di come il Presidente gestì l’annosa questione dei pirati musulmani di Tripoli – e parliamo della prima guerra combattuta dagli Stati Uniti al di fuori dal territorio americano, contro le potenze costiere del Nordafrica: il Sultanato del Marocco e le reggenze di Algeri, Tripoli e Tunisi – quando cioè, risultati inutili tutti i tentativi di negoziato, il presidente diede ordine alla U.S. Navy di dare una lezione a quelle sanguisughe. L’azione mostrò a tutti che l’America era in grado di difendere i propri interessi, guadagnandosi in tal modo il rispetto del mondo.

Insomma, un grande Americano, un genio della filosofia politica e un eccellente presidente. Mi piace concludere questo ritratto con una citazione meno nota di quelle per cui Jefferson va famoso – “We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal…” e “When in the Course of human events it becomes necessary for one people to dissolve the political bands which have connected them with another…” – ma sulla stessa lunghezza d’onda e non meno attuale:

“Quando i rappresentanti hanno perso la fiducia dei rappresentati, quando essi hanno palesemente svenduto i più essenziali diritti di questi ultimi, quando si sono arrogati dei poteri che il popolo non ha mai messo nelle loro mani, allora davvero la loro permanenza in carica diventa pericolosa per lo stato e richiede che venga esercitato il potere di destituzione.”

Così scriveva Thomas Jefferson in un pamphlet intitolato A Summary View of the Rights of British America, scritto nel 1774, due anni prima della “sua” Dichiarazione di Indipendenza – di cui è in qualche modo un’anticipazione – e 27 anni prima di diventare il terzo Presidente degli Stati Uniti.

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