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AAA opposizioni cercasi: la crisi di Pd e Forza Italia

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Dum Romae consuliturSaguntum expugnatur. Questa locuzione latina dello storico romano Tito Livio potrebbe riassumere efficacemente la situazione delle opposizioni al governo gialloblu. Il Pd e Forza Italia, infatti, non riescono ad uscire dall’angolo in cui sono stati relegati dall’anomala alleanza tra Lega e Movimento 5 Stelle. Da un lato il Partito democratico continua un’estenuante e infruttuosa guerra tra correnti per garantire alla propria fazione il futuro segretario; dall’altro il partito guidato da Berlusconi è ormai succube della Lega e non è in grado di trovare una linea coerente per contenere lo strapotere di SalviniLe recenti tensioni tra i due alleati di governo potrebbero aprire spiragli interessanti per le forze di opposizione che però, ad oggi, non sono in grado di sfruttare un’occasione piuttosto ghiotta.

In casa Pd la probabile candidatura di Minniti alla segreteria potrebbe riaprire i giochi. Se Zingaretti sembrava il candidato unico, la scelta dell’ex ministro degli interni potrebbe dar vita a riposizionamenti inediti. Sarà importante capire come le correnti si schiereranno. Ma al di fuori degli addetti ai lavori, la questione degli equilibri interni ai Dem interessa pochi. Probabilmente a nessuno. 

Il vero tema dovrebbe essere quello della sopravvivenza, visto che dopo la batosta del 4 marzo il Partito democratico ha continuato ad arrancare non trovando una strategia coerente. I tanti appelli all’unità, giunti anche dalla manifestazione tenuta a Piazza del Popolo, sembrano essere stati ignorati, vista la lotta senza quartiere per la segreteria. Quello che stupisce è che nemmeno di fronte ad una situazione del genere il Pd riesca a trovare una linea unitaria per presentarsi compatto di fronte agli elettori. L’immagine che proietta all’esterno è quella di un partito caratterizzato da un irrinunciabile egoismo autoreferenziale. 

I modi di Renzi rappresentano plasticamente questa cupiodissolvi. La sua brama di potere non è mutata, nemmeno di fronte alle disfatte elettorali del 4 dicembre 2016 e del 4 marzo 2018. E l’ex segretario, forse consapevolmente, continua ad osteggiare chi potrebbe prendere le redini del partito. Alla Leopolda 9, intitolata Ritorno al futuro (meglio dire al passato), l’ex premier ha sottolineato a più riprese che le recenti sconfitte dei Dem non sono assolutamente dipese dal suo carattere e dalle sue scelte. Nel rimarcarlo ha messo in luce i suoi meriti senza analizzare oggettivamente le ragioni del declino del Pd, riconducendolo al clima populista ormai diffuso su scala mondiale. Dunque zero autocritica, accuse ai compagni di partito, rei di essere scesi dal suo carro dopo le prime difficoltà, e tanta, tantissima retorica. Lo show sul palco da conduttore televisivo ha fatto il resto, inverando gli strali di tanti critici che lo ritenevano più un imbonitore che un uomo di Stato.

Oltre alle faide tra le varie correnti e alla solita sicumera renziana, all’interno del Partito democratico si registra l’ormai nota crisi ideologica. In una recente intervista, il suo fondatore Walter Veltroni, ha dichiarato che la prima parola da mettere in campo in vista delle europee sarà “Europa”. In un momento di grande sfiducia nei confronti dell’Unione (secondo un recente sondaggio dell’Eurobarometro gli italiani che vi ripongono ancora fiducia sono solo il 44 per cento) il Pd si appella proprio a questa istituzione che spesso attacca pretestuosamente l’Italia. Come si può pensare ad una riscossa elettorale se si invoca in modo vago l’Europa senza spiegarne l’importanza? Una domanda che probabilmente resterà senza risposta, ma che anticipa un esito che potrebbe essere ancora una volta drammatico, se si considera che le altre idee di Veltroni sono costituite semplicemente “da parole europee come formazione, ambiente, sicurezza sociale”. La sinistra, tolto questo europeismo di maniera, è rimasta nuda e le proposte del fondatore del Pd non sembrano essere la via adeguata perun rilancio. Secondo Veltroni, infatti, l’Europa dovrà essere difesa da un fronte che va da Macron alla sinistra più radicale. Insomma, il classico minestrone elettorale pronto a santificare acriticamente un’istituzione che, così com’è, è pressoché indifendibile. Un progetto a dir poco autolesionista.

Se il Pd arranca, Forza Italia non naviga certo in acque migliori. Dalla formazione del governo gialloblu i forzisti vivono in una sorta di limbo con il costante timore che Salvini possa cannibalizzare il centrodestra tradizionale. Nonostante questa situazione anche tra le fila di FI si nota una certa autoreferenzialità. Le proposte di Antonio Tajani e di Mariastella Gelmini non possono bastare per rilanciare un partito invecchiato e senza prospettive. I tanti convegni organizzati in altrettanti alberghi non sembrano in grado di riparare i gravi guasti del partito. È inutile dar vita ad eventi se vengono frequentati dai soliti noti e se non si torna ad ascoltare ed interpretare i bisogni del Paese. Un dialogo tra sordi non è ciò di cui necessita la creatura di Berlusconi.

In effetti, i dirigenti più esperti sembrano aver alzato bandiera bianca, arrendendosi allo strapotere leghista, quando, facendo seria opposizione alla manovra, avrebbero potuto riacquisire diversi consensi in tutto quell’elettorato che non apprezza le misure assistenzialiste volute dai grillini. Potenzialmente ci sarebbe una prateria da cui attingere voti. Basti pensare al ceto medio produttivo e ai tanti imprenditori che non accettano le istanze pentastellate che Salvini è stato costretto ad ingoiare a causa del contratto di governo. L’impressione è invece che gli azzurri stiano puntando al mantenimento dello status quo, senza guardare troppo lontano. Ma quando si seguono strategie di questo tipo, di solito, si scompare.

Se si osservano i sondaggi la situazione sembra compromessa. Dal 13,1 per cento delle elezioni del 4 marzo, FI è passata ad un misero 8 per cento. Se poi non vengono premiati i soggetti più dinamici, la situazione si fa ancor più drammatica. La vicenda di Silvia Sardone è sintomatica. Eletta in Regione Lombardia con più di 11 mila preferenze, non ha ricevuto alcun assessorato e durante l’estate ha deciso di passare al gruppo misto abbandonando Forza Italia. Non è un caso che quest’ultima e Toti stiano pensando di avvicinarsi alla Lega.

Come sempre l’unico che potrebbe rimettere in carreggiata il partito è Berlusconi. Una delle sue intuizioni avrebbe la forza di rianimare una FI sulla via del tramonto. Un network di professionisti e imprenditori sarebbe in grado di rilanciare una forza politica necessaria al centrodestra e al Paese. Una forza liberale e conservatrice in grado di limitare, o quanto meno direzionare, l’esuberanza di Salvini.

Le opposizioni non godono dunque di un buono stato di salute, ma è interesse dell’Italia che esse riprendano vigore, soprattutto in una situazione delicata come quella di queste ultime settimane. Per sbrogliare una matassa a dir poco avviluppata, qual è la manovra, servirebbe il contributo costruttivo di tutti. Sarà interessante capire come Pd e Forza Italia affronteranno questa sfida e come si organizzeranno per i futuri appuntamenti elettorali. Sempre che questo avvenga.

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