Bene ma non benissimo. L’Università di Trieste, dove evidentemente si tengono corsi di zelo comparato, obbedienza supina, trinariciutismo applicato, stacca tutti e sancisce: Green Pass anche da remoto, se uno studente non ce l’ha non può sostenere gli esami neanche da casa sua. È la follia sanitaria che mancava: leggerissimamente politicizzata, forse, ma per la sicurezza di tutti, questo ed altro.
Bene, ma non benissimo: fossimo nel Rettore, davvero magnifico, fatto trenta faremmo trentuno: non basta avere il Green Pass anche da casa, occorre dimostrare di esserne fieri, felici, convinti. Se no a che serve? No, dico, se tu hai il lasciapassare regolamentare ma resti tiepido, se non ti esalti, se non ne fai una bandiera di civiltà, se insomma non lo usi come la Bibbia laica per convertire gl’infedeli, a colpi di QR, a che ti serve? E, soprattutto, chi ti assicura che, in caso, non ti infetti e non diventi contagioso comunque? Sai, la storia delle energie negative, del portare sfiga, tutta quella roba lì. Come cantava Jannacci: “E sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al rettore”.
Nella fattispecie, Roberto di Lenarda, odontoiatra, prestigioso curriculum da cui si evince, tra mille riconoscimenti, un indicativo programma in “Odontoiatria Sociale Pubblica” nel 2016 in collaborazione con l’assessore Maria Sandra Telesca, all’epoca piddina, oggi trasmigrata in Italia Viva. Ecco, l’odontoiatria sociale, evocativa come un piano quinquennale dentario. Servire il popolo in letizia, di questo si tratta. Perché non sia triste l’Università di Trieste. Perchè non basta accettare tutto quello che i geni che lavorano solo per noi, da Speranza ai virologi utilitè al CTS alla Fondazione Gimbe a quelli che vogliono sparare sulla folla no-vax escogitano: bisogna essere convinti, in modo indefesso, organico, palpabile.
Il Rettore Magnifico, a proposito, ha avuto modo di precisare meglio la sua inarrivabile iniziativa da foro interno, Green Pass (quindi immunizzazione) anche a chi sta chiuso in casa; lo ha fatto dalle colonnine del Corriere, ovviamente accorso in suo servizio, e lo ha fatto con la più fatidica delle precisazioni: sono stato frainteso. E giù con la giaculatoria: abbiamo sempre scelto la massima prudenza, siamo responsabili, ci ripagano con la malevolenza, siamo male interpretati. Fosse mai che uno dica: ho detto una cazzata e sono stato inteso per quello che ho detto. No, la colpa è del decreto (ossia del governo), che non è chiaro, che non è spiegato, eccetera. Poi l’avvitamento in doppio carpiato reale: abbiamo collegato il Green Pass allo status di studente non alla sua reale collocazione. E qui, spiace per il Magnifico, c’è poco da mal interpretare: se così, allora è una misura semplicemente surreale, che non verrebbe adottata in un asilo nido, figuriamoci un ateneo. Come sempre, chi troppo vuole spiegare, alla fine si strangola con le sue stesse parole: la trovata del Green Pass domiciliare risulta effettivamente, indiscutibilmente punitiva, sa di rappresaglia. E non c’è niente da capire.
Bene, benissimo, dell’Università di Trieste oggi parlano tutti, l’importante è esagerare. Poi però non ci si venga a dire che gli animi sono esasperati, che i no-vax (cioè tutti i non entusiasti, in blocco, senza sfumature, senza andar per il sottile) sono criminali, inseguono i giornalisti e minacciano i virologi. Sì, certo, sbagliato, inqualificabile e, oltretutto, controproducente, ma questi sono per l’appunto problemi da e dei fanatici, isterici che comunque la metti troveranno sempre un modo per dare di matto si parli di vaccini, lasciapassare, scie chimiche, 5G, clima, calciobalilla. Se vogliamo restare agli individui normali, che vivono e lasciano vivere e non ti augurano di morire che tu ti sia vaccinato oppure no (e chi scrive ha recepito il medesimo, scrupoloso auspicio da entrambe le tribù), allora possiamo limitarci a considerare che invenzioni deliranti come quella dell’Università di Trieste contribuiscono a invelenire il clima e Dio sa se ce n’è bisogno, dopo 18 mesi di guerra anomala e chissà quanti altri a venire, carichi di difficoltà, di sacrifici, di traumi.
Qui hanno perso tutti la testa, per un siero sono disposti ad accopparsi a vicenda e ti fanno il processo alle intenzioni, qualsiasi cosa tu decida, e considerano il lasciapassare uno “strumento di libertà” che non ti lascia passare nemmeno a casa tua. Altro che fondamentalismo. Sant’Agostino non si dava pace pensando ai peccati commessi quand’era ancora un feto; qui si va oltre, siamo indotti a considerare la libertà il peccato più mortale di tutti, a ringraziare il potere buono e saggio per le vessazioni più assurde, a dare un esame in videoconferenza, perché no sfoggiando una bella camicia di forza. Magari di color rosso Cina, che risalta meglio, che fa più gioia. Ma se una Università, tempio del pensiero, della riflessione, del ragionamento, non sa ragionare, se non sa applicare quella che comunque rimane una limitazione, una restrizione, se non la coglie cum grano salis ma nel modo più ottusamente burocratico o militaresco possibile, al punto da risolversi in caricatura, che cosa resta da dire?