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Ore contate per il Conte 2, si prepara la maggioranza “Ursula” per la nuova “cura Monti”

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Il destino del Conte 2 pare segnato: lo si capisce da come il marker dei sostenitori di Conte (la minaccia di elezioni anticipate) vada svanendo a vantaggio del marker dei suoi avversari (la impraticabilità, per la maggioranza, di elezioni anticipate). Uno scontro che, su Atlantico Quotidiano, abbiamo descritto come fra Bettini e Renzi: fra chi dà priorità alla alleanza col 5 Stelle e chi agli ordini di Bruxelles. Lo sta vincendo Renzi, in nome dell’Europa.

Non è scontato che il prossimo presidente del Consiglio sia di nuovo Conte: certo, nessun dubita che egli saprebbe scambiare la maschera del cantore dell’Europa generosa con quella del proconsole dell’Europa feroce, alla stessa velocità con la quale ha tolto la maschera del populista appena 18 mesi orsono. Ma, a Bruxelles, lo accusano di immobilismo ed anticipano di voler bocciare le bozze di Recovery che egli ha sin qui prodotto. Perciò, non si fa peccato ad immaginare che, nel prossimo governo, come Di Maio sta agli Esteri così egli finisca agli Interni o alla Difesa: posti di governo prestigiosi sì, pure vicini ai Servizi che gli piacciono tanto, ma non direttamente investiti dal diktat Ue. A contrario, vale l’esempio di Bonafede, che potrebbe essere cacciato, non già per il proprio giustizialismo, bensì in quanto poco lesto ad eseguire quanto Bruxelles sulla giustizia ha dettato: infatti, si pensa di sostituirlo con Orlando, uno che ha già dato prova di cieca fedeltà con la orrida riforma Rordorf. Già si parla (probabilmente a vanvera) di un governo Gualtieri: dallo “schiavo di Casalino” (Dagospia) allo schiavo d’Europa.

Il vertice del Pd (Zingaretti, Orlando, Bettini), che va ripetendo come l’obiettivo di Renzi sia politicistico (“l’omicidio politico del Partito Democratico … un governo istituzionale con Salvini e Forza Italia, da dove usciremo senza avere più un’alleanza con i 5S guidata da Conte, dunque sconfitti alle elezioni”), ha completamente sbagliato analisi. Orbo al punto da non vedere che Parigi e Bruxelles mai lo lascerebbero puntare tutta la posta sulla roulette delle elezioni anticipate. E che i parlamentari Pd e 5S già stanno spartendosi gli incarichi nel nuovo governo. E che Conte sta solo trattando la propria buonuscita (politica) e potrebbe dimettersi da un momento all’altro.

La nuova maggioranza europeista (“Ursula”) sarebbe assai simile alla precedente, solo estesa ai Calenda-Bonino-Brunetta-&Affini (meno plausibilmente a Berlusconi col grosso di Forza Italia): truppa pronta a sostenere qualunque sacrificio Bruxelles vorrà imporci. Finito il tempo dell’immobilismo di Conte e della sua narrazione dell’Ue come la fata turchina che porta con sé la manna (vi si attardano Pasquino, De Bortoli, il ministro Amendola). Giunto è il tempo dei fanatici: quelli che non solo ammettono che la supposta manna è vincolata alle riform€, ma pure se ne compiacciono in quanto solo la dura frusta farebbe crescere il Paese (Veronica De Romanis) e addirittura farebbe vincere le elezioni al Pd (Marco Bentivogli).

Ebbene, a guardarle da vicino codeste riform€, non sembrerebbe: le elencammo in luglio su Atlantico, descrivendole come “la Finanziaria Monti-Plus; di nuovo, come nel 2011, imposta ad una economia che esce da una gravissima recessione, solo per farla precipitare in una peggio; di nuovo, come nel 2011, Bruxelles pretende che i propri comandamenti siano volti al rafforzamento del potenziale di crescita, alla creazione di posti di lavoro… ma già sappiamo come va a finire”. E ci diverte assai vederle elencate oggi – sei mesi più tardi – su la Repubblica, addobbate di excusatio non petita: “il legame tra soldi e riforme è noto da luglio, ma ora Bruxelles lo ribadisce con chiarezza”. Dormite bene, Compagni.

Non v’è chi non veda che il Pd corre al suicidio elettorale. Di qui, il sogno del Corriere della Sera di coinvolgere l’opposizione (Verderami, Mieli), continuamente dando fiato ad un Giorgetti evidentemente convinto, in cuor suo, che il rancio offerto da Monti fosse ottimo e abbondante. Sogno cui si oppone la Repubblica con Stefano Folli, il quale considera il coinvolgimento di Lega e FdI come impraticabile. Quel quotidiano propende, piuttosto, per la solita vecchia soluzione: la crisi finanziaria. Ed eccolo strillare che la paura di elezioni anticipate dominate dalla Lega avrebbe fatto salire lo spread di 8 punti, il rendimento del Btp sopra quello del gemello greco, scendere le banche italiane in Borsa, indotto Moody’s minacciarci di declassamento. La stessa identica narrazione del 2013 e del 2018 e che ha accompagnato il Pd dal 40 per cento nei sondaggi di allora al 18 per cento dei sondaggi di oggi.

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Importa sottolineare come tali riform€ sarebbero le stesse, se a chiederle non fosse il Recovery Fund – allo stato sempre incagliato nei Parlamenti del Nord Europa – bensì il Mes, che Renzi non si stanca di chiedere a gran voce. Chi presenta tale richiesta come un espediente tattico, un modo per dividere la maggioranza, ha capito niente. Lo ha spiegato un gran Signore parigino, Alain Minc: Conte “ha fatto un favore all’Europa, quando ha vinto la sfida con Salvini” epperciò, quando “per orgoglio” ha rifiutato il Mes, gli hanno apparecchiato il Recovery-Mes. Sottotesto: se, al posto di Conte, viene il Pd che ha sempre detto sì al Mes, allora il Recovery non serve più.

Perché, a Parigi non importa del Recovery (ne è contribuente netto e sta già anticipando le spese con soldi propri): a Parigi importa che, andatasene Merkel, Bce continui “con tassi zero o addirittura negativi”. Ma se l’Italia non si sottoponesse alle riform€, darebbe “argomenti alla parte più conservatrice dell’opinione tedesca”, cioè procurerebbe fastidi a Bce.

Parole che aprono uno spiraglio di luce sul principale mistero di tutta questa vicenda. Monti nel 2011, infatti, per “distruggere la domanda interna” [sic] aveva almeno la scusa di voler ridurre il nostro deficit commerciale con l’estero. Ci è riuscito talmente bene che, oggi, l’Italia gode di uno dei surplus commerciali migliori del pianeta e di un debito esterno netto negativo: ciò un credito, siamo creditori nei confronti del resto del mondo. Ma, proprio per questo, a cosa diavolo serve distruggere altra domanda interna?! La spiegazione implicitamente offerta da Minc è convincente: una nuova cura Monti getterebbe l’Italia in deflazione, dunque ridurrebbe l’inflazione media dell’Eurozona, dunque consentirebbe a Bce di proseguire ad libitum la monetizzazione in corso del debito francese. Insomma, una nuova cura Monti in Italia serve alla Francia. Grazie tante.

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Se l’Italia non si sottomettesse, continua Minc, “rimarrà una terribile cicatrice per i decenni a venire” … con la Francia. Noti bene il lettore, egli non dice che l’Italia, se non si sottoponesse alle riform€, soffrirebbe di suo: no, dice che soffrirebbero i suoi rapporti con la Francia. Cioè, con Macrone che ci vuole in deflazione. E chissenefrega di Macrone.

Questa conclusione di Minc è esattamente la stessa del ministro francese Le Maire (“volete che l’Europa sia un mercato unico?”), di Domenico Siniscalco (gli Italiani si troverebbero a “far da soli”), Marco Bentivogli (“l’Ungheria o il Venezuela”), Salvatore Bragantini (“la Ue concluderebbe che bisogna dividersi in due cerchi, noi finiremmo fra gli ignavi”), Alberto d’Argenio (il Recovery come “l’ultima chance di restare agganciata all’Eurozona”). Per tutti loro una maledizione, per un sovranista una benedizione, anzi: il Piano.

Certo, il Pd che, con la sua nuova maggioranza Ursula ed agli ordini di Bruxelles, praticherà una seconda cura Monti, procurerà gravi e dolorose ferite nella carne viva della nazione … ma Lega e FdI non possono impedirlo. Ciò che possono fare, invece, è tenere aperti gli occhi di quanti italiani siano disposti ad ascoltarli … in numero che non potrà che crescere. Mentre coltivano una classe dirigente di riserva, fatta dei deplorables che tanto dispiacciono all’establishment (gli “impresentabili anti europeisti che occupano gli scranni della Lega a Montecitorio e a Palazzo Madama”, Il Foglio), i quali, dopo che il Pd avrà di nuovo miseramente fallito, costituiranno l’unica forza credibile in Parlamento e nel Paese.

Narrano che Giorgetti vada in giro a dire che, unendosi alla maggioranza Ursula, la Lega “avrebbe la garanzia di poter governare dopo una vittoria elettorale”. Se tale delazione corrispondesse al vero, vorremmo dargli un consiglio: lasci lui il partito e si unisca a Ciampolillo, a Mastella e a Tabacci … uno sgabello alla destra del sottosegretario Misiani non gli verrebbe negato.

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