Il mestiere di giornalista non consiste “solo” nello scrivere, che se mai è l’atto finale di un percorso obbligato, vedere, capire, ma per vedere bisogna viaggiare, spostarsi e solo all’ultimo uno può raccontare quello che ha visto, che ha capito. Io ci provo. E allora dirò che le nostre città, qual più qual meno, sono in ostaggio; che il vituperato, famigerato Salvini ha arginato, fin che ha potuto, gli sbarchi ma poco e niente ha potuto contro la situazione già conclamata, probabilmente irreversibile.
A Milano, giardini pubblici e intere zone sotto il controllo di una immigrazione scatenata, disintegrata, refrattaria a qualsiasi regola civile, pericolosa; a Roma non ne parliamo (e su tutti non ne parla più il Pd, che anche prima, del resto, ci andava col piumino da cipria perché certe ammucchiate si preparano per tempo e con calma); a Padova, basta scendere alla stazione dei treni per constatare una tensione, un’aria malsicura, una mancanza di controllo che neppure la militarizzazione può frenare e qui, del resto, alligna uno dei peggiori traffici di prostituzione maschile nigeriana d’Europa; a Bologna, più o meno lo stesso; a Macerata è ancora vivo il ricordo di Pamela, la sfortunata, sciagurata diciottenne tossica capitata nel vortice di spacciatori nigeriani e uscita letteralmente a pezzi; a Civitanova Marche, stessa provincia, si sono dati casi di nordafricani che tengono la famiglia, moglie e figli piccoli, a vivere letteralmente fuori di casa, sulle scale, fino a che l’abitazione, riparata in proprio, non sarà completata, secondo precetto islamico; a Fermo, provincia limitrofa, un nigeriano in un centro d’accoglienza ha appena sfasciato a pugni e a calci quattro donne. Occorre continuare?
Tutto questo, si potrebbe chiosare prendendo a prestito un celebre slogan sessantottino, “non è che un debutto”: se è vero, come è vero, che i protagonisti della Grande Ammucchiata, Pd e 5 Stelle, si sfidano a colpi di maggiore “accoglienza”, cancellando, così promettono, i decreti sicurezza, spalancando porti, stendendo ponti infiniti come piace a Bergoglio, riaprendo centri di prima accoglienza. E c’è del metodo nell’apparente follia: torniamo a imbarcarne a legioni, senza limiti e confini, ci mettiamo su lo ius soli, questi voteranno sempre per noi, problema risolto. In più, ci facciamo i miliardi a man salva col business umanitario. Che vuoi di più?
Ora, il cronista viaggia, osserva, scrive; ma si può viaggiare anche senza muoversi, si può girare il mondo dei social e qui si sta verificando, per caso o meno, un fenomeno interessante. Su Twitter, in particolare, si moltiplicano i brevi messaggi di chi riferisce, in modo analitico, quasi da agenzia, le traumatiche condizioni dei luoghi in cui sopravvive: viene fuori un bello spaccato d’Italia, a macchia di leopardo, ma non meno attendibile. Al cronista, che quei posti li ha attraversati più volte, torna tutto, si parli di Padova, Firenze, dei quartieri di Roma e Milano o della provincia marchigiana. Racconta una donna: “Stavo al parco coi miei cani, immigrati mi insultano perché sto con le bestie immonde anziché sottomessa a casa dal marito”.
È questo che si vuole? Sì, è questo e anche di più. Mentre lo stragista di Lione, un richiedente asilo afghano che ne ha accoltellati dieci ammazzandone uno, un ragazzo di 19 anni, “perché non conoscevano il Corano”, passa sotto felpato silenzio nella stampa mainstream. Eppure la questione è tutta qui, terribilmente esemplare: io pretendo asilo, tu me lo concedi e io ti faccio fuori perché sei tu che devi assoggettarti. Nella millenaria storia delle migrazioni non era mai successo, è sempre successo invece in quella delle invasioni. Ne esce un quadro desolante per il quale non siamo più non si dica padroni a casa nostra, che è sempre antipatico, ma semplicemente liberi. Siamo ostaggi nelle nostre città e questa è la cronaca di uno che riscontra fatti e situazioni senza coloranti né conservanti, semplicemente viaggiando, vivendo. Per cui si aspetta fatidiche accuse di razzismo, di intolleranza dagli apostoli della rimozione forzata. Coraggio, fatevi avanti, lanciate i vostri strali, come cantava Edoardo Bennato. Sparate pure sul cronista, pur di non sparare su una realtà che non vi risparmia e che non vi servirà ignorare mettendo la testa sotto la sabbia dell’ipocrisia politicamente corretta. Un giorno, più presto del previsto, non la vedrete arrivare ma toccherà anche a voi.