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Ostpolitik. Parole e mosse di Berlino che allontanano l’Ue da Usa-Uk e la portano tra le braccia di Pechino

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Il Regno Unito post-Brexit “rivale” dell’Unione europea insieme a Cina e Stati Uniti. Il commento della cancelliera tedesca arriva durante un incontro con il presidente francese Macron a Parigi e sembra suggerire che il direttorio franco-tedesco che governa le istituzioni europee non creda davvero alla possibilità che Ue e Regno Unito possano collaborare in stretta partnership dopo Brexit, prospettiva per la quale entrambe le parti in questi anni si erano impegnate a lavorare.

“Ciò significa che come Ue dobbiamo lavorare più rapidamente, lavorare in modo più coerente e anche la nuova Commissione europea con Ursula von der Leyen alla testa dovrebbe diventare operativa il più rapidamente possibile”, ha aggiunto la cancelliera, riferendosi allo stop dopo la bocciatura della candidata commissario francese Goulard. Non possiamo permetterci “il lusso di inutili litigi e piccole lotte o di aggiungere crisi interne alle tensioni del mondo”, ha aggiunto Macron, fortemente irritato per la decisione del Parlamento europeo di respingere la sua candidata, una vendetta per aver silurato il cosiddetto sistema dello spitzenkandidat, secondo cui sarebbe dovuto essere il tedesco Manfred Weber (PPE) il presidente della nuova Commissione.

Premesso che per il Regno Unito il mondo post-Brexit non dev’essere l’inferno che si dice, se addirittura secondo la Merkel l’Ue deve guardarsene come rivale sia economico che geopolitico, le sue parole non suonano rassicuranti innanzitutto per l’Europa, dal momento che ogni volta che inglesi e americani sono stati visti come avversari a Berlino, è finita molto male per i tedeschi e gli europei in generale.

Ma non è la prima volta che la cancelliera mette Stati Uniti e Regno Uniti nella lista dei cattivi, tra gli avversari dell’Unione europea, addirittura al pari di Russia e Cina. Di ritorno in Germania dopo i colloqui al G7 di Taormina, nel maggio 2017, sfogò tutta la sua delusione in una birreria di Monaco di Baviera, spiegando che i tempi in cui potevamo fidarci di Londra e Washington “sono passati da un bel pezzo” e che noi europei avremmo dovuto “prendere il nostro destino nelle nostre mani”. Auspicando, certo, “relazioni amichevoli” con Usa e Uk, come anche con l’altro nostro “vicino”: la Russia.

Una dichiarazione d’intenti geopolitica. Con le sue parole la Merkel mostrava di considerare concluso l’ordine mondiale post-bellico: noi europei dovremmo smettere di considerare i nostri liberatori, Stati Uniti e Regno Unito, “alleati affidabili”, per entrare in una nuova epoca di autonomia strategica e di sostanziale equidistanza dai nostri vicini a Occidente e ad Oriente.

Sarebbe poi toccato al presidente francese esprimere tale visione, quando nel novembre 2018 sottolineò la necessità di avere un “vero esercito europeo” allo scopo di “difendere i cittadini europei non solo rispetto a Cina e Russia, ma anche rispetto agli Stati Uniti”. Parlando a Strasburgo, al Parlamento europeo, la cancelliera tedesca ribadiva il concetto: “I tempi in cui ci potevamo affidare ad altri sono finiti, come europei dobbiamo prendere in mano il nostro destino”.

Se alle parole della cancelliera si aggiunge la notizia della decisione presa in queste ore da Berlino di dare via libera a Huawei per lo sviluppo dell’intera rete 5G tedesca, riportata da Handelsblatt, con un personale intervento della Merkel a favore, nel timore di provocare un dispiacere a Pechino, allora sembra proprio che oggi la Germania tenga più ai rapporti con la Cina che con gli Stati Uniti. “Non stiamo prendendo una decisione preventiva per vietare qualche attore o società”, ha confermato il portavoce della cancelleria Steffen Seibert.

Il problema con Huawei è che la società, come tutte le imprese cinesi, è tenuta per legge ad assistere il governo di Pechino, cioè il Partito comunista, nelle attività di intelligence, in caso gli venga richiesto. E la tecnologia cinese è così avanzata che c’è da dubitare fortemente che i governi europei siano persino in grado di immaginare standard di sicurezza tali da metterci al riparo da spionaggio e cyberattacchi. Se non sappiamo cosa sono in grado di fare i cinesi con i loro chip, come possiamo fissare criteri e dotarci di reti di sicurezza?

L’avvertimento giunto da Washington è chiarissimo: i Paesi alleati che non escluderanno Huawei dallo sviluppo della loro rete 5G rischiano l’interruzione dello scambio di informazioni militari e di intelligence con gli Stati Uniti.

Ma pensiamo anche ai gasdotti Nordstream, all’irrisorio contributo Nato, alla difesa dell’accordo sul programma nucleare iraniano, alle reazioni – via Bruxelles – ai dazi Usa autorizzati dal WTO, molto più dure rispetto a qualsiasi rimostranza nei confronti di Pechino per le sue decennali politiche protezionistiche e predatorie. Insomma, dalle scelte di politica energetica ai progetti di cooperazione militare, alle infrastrutture tecnologiche, tutte le decisioni strategiche di Berlino sembrano prese per allontanarsi da Washington. Solo frutto dell’antipatia per Trump?

Il più grande errore che i tedeschi, e gli europei, potrebbero commettere è credere che il loro problema più grande si chiami Donald Trump e, dunque, che basti aspettare un nuovo inquilino alla Casa Bianca. Primo, perché nel 2020 Trump potrebbe essere rieletto. Secondo, perché un’amministrazione democratica non sarebbe più tenera sul commercio, sulla Nato e soprattutto sui rapporti con Pechino. L’Europa sarà in ogni caso chiamata a rinnovare la sua lealtà all’alleato americano. Come risponderà?

Come si muoverà davanti alla rivalità del XXI secolo tra Stati Uniti e Cina, cioè tra i due diversi modelli di capitalismo, democratico e liberale il primo e autoritario il secondo? Intende davvero emanciparsi dall’ombrello americano, sganciarsi dall’ormeggio transatlantico, “fare da sola”, giocare la propria partita geopolitica, inseguendo il sogno di una equidistanza tra Washington e Pechino che rischia di rivelarsi una pericolosa illusione, consegnandoci fatalmente nelle braccia di Cina e Russia? Il rischio per l’Europa, infatti, evocato da Henry Kissinger, è di diventare “appendice dell’Euroasia”.

In realtà, dunque, è Washington che ha fondati motivi per ritenere, parafrasando la cancelliera, che l’Ue “non sia più un alleato scontato” e che non si possa “fare affidamento” sulla guida tedesca.