Il 2020 sarà certamente ricordato come un anno unico nella storia dell’umanità. I vari lockdown a livello globale per contrastare la prima ondata della pandemia di Covid-19 hanno causato la più grave contrazione economica della storia moderna. A differenza del passato, non si è trattato di uno shock strutturale dell’economia, cioè causato da fattori endogeni, bensì da un fattore esogeno come la diffusione di un virus. Quindi, con una parziale e graduale riapertura delle attività economiche in estate abbiamo assistito alla cosiddetta ripresa a “V”, che in realtà è crollata nuovamente con l’arrivo della seconda ondata e nuove successive chiusure in molti Paesi.
Francia, Spagna e Italia sono i Paesi che più di tutti in Europa hanno risposto alla seconda ondata in maniera superficiale, lenta e soprattutto non preventiva: già dall’ultima estate gli allarmi erano in essere, la politica però (sia a livello nazionale che locale), non ha messo in campo strumenti che mirassero ad aumentare la capacità di resistenza del settore sanitario, espandendo per esempio il personale preposto al primo soccorso dei pazienti affetti da Covid o potenziando la medicina territoriale. Si è ben presto finiti per far gravare questa situazione ulteriormente sui cittadini, “colpevoli” di aver condotto durante la stagione estiva uno stile di vita ritenuto sprezzante della situazione del loro Paese, ma in realtà del tutto normale: vacanze, ristorante, aperitivi eccetera… Tutte attività che contribuiscono al Pil di un Paese, soprattutto quello italiano, e che consentono allo Stato di ricevere le entrate fiscali necessarie a continuare a mantenere in piedi un settore pubblico estremamente dispendioso e poco produttivo.
Nonostante gli strumenti monetari che l’Europa ha cercato e sta cercando di mettere in campo, dallo scudo della Bce al fantomatico Recovery Fund, l’Italia ha ancora una volta perso l’occasione per essere lungimirante, ricorrendo a strumenti molto parziali di assistenza alle categorie più colpite dal lockdown (commercianti, ristoratori, albergatori, operatori turistici ecc…). Misure che però o si sono scontrate con la lentezza della burocrazia italiana o, peggio, con l’inadeguatezza delle risorse stanziate.
La sospensione del pagamento di tasse e bollette sarebbe dovuta essere una delle prime misure da adottare già in primavera, e l’Inps avrebbe dovuto dotarsi di strumenti soprattutto digitali e tecnologici per elaborare al meglio le pratiche per l’erogazione del credito a fondo perduto e della cassa integrazione. In attesa delle risorse promesse del Recovery Fund, ora la sfida sarebbe quella di preparare un serio e ambizioso piano infrastrutturale, che costituisce l’unico sano motivo di aumento della spesa pubblica e del rapporto debito-Pil. Grazie ai piani infrastrutturali, infatti, è possibile nel breve periodo ridurre la disoccupazione, e nel lungo avere un effetto positivo sulla crescita del Pil, con conseguente riduzione del rapporto col debito. Inoltre, chiunque può constatare che l’Italia abbia un’assoluta necessità di un ampio piano di ricostruzione delle proprie infrastrutture, basti vedere le immagini di questi giorni in Sardegna o in Calabria, devastate da varie calamità naturali.
La cosa che bisogna tenere a mente, come ricorda Giulio Tremonti nel suo libro “Uscita di Sicurezza”, è che nell’attuale sistema europeo vi sono fortissime instabilità, è come essere in un videogame: arriva un mostro, lo batti, passi al livello successivo, ma arriva un mostro ancor più grande da battere. La solvibilità del nostro debito (lanciato verso il 160 per cento del Pil) non potrà, già in un futuro non troppo lontano, essere garantita soltanto dagli acquisti della Banca Centrale Europea. Saranno necessari coraggiosi shock fiscali a livello endogeno da parte dei diversi Paesi dell’Eurozona. Come ricordava Mario Draghi nel suo ultimo intervento pubblico nel Meeting di Rimini di questa estate, l’unica condizione vera di solvibilità del debito deve essere dettata dalla positiva percezione del debito contratto da parte degli investitori internazionali: se il debito è positivo, ossia investito in ricerca e infrastrutture, allora potrà essere continuamente rifinanziato a tassi sempre più bassi, se al contrario la percezione del debito contratto sarà negativa, ossia se percepito (com’è attualmente) come un debito che incancrenisce un sistema assistenziale e non finalizzato agli investimenti, allora la sua solvibilità rischia di venire meno.
L’Italia è intrappolata da programmi assistenziali come il reddito di cittadinanza, da un sistema sanitario pubblico che come vediamo non è quel fiore all’occhiello che molti pretendono, almeno non in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, dalla politica dei bonus che brucia miliardi, da un welfare anacronistico e inefficiente. Il “modello Italia” tanto millantato non viene elogiato da nessuno all’estero (si legga anche Federico Rampini in merito). Bisogna entrare nella logica che tutti questi pseudo diritti in realtà non offrono il vero diritto: il diritto grazie al quale le future generazioni possano avere una vita migliore di quella presente, il diritto al lavoro.
L’Italia è stata costruita sullo spirito della grande industria: siamo noi a costruirci il nostro futuro, non ci viene regalato. Ma si sta procedendo nella direzione opposta.