Paranoia Covid e deriva autoritaria: ecco la peculiare fragilità della nostra democrazia

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La storia di un popolo parla per il suo presente, e la nostra non è mai stata particolarmente ispirata da una forte convinzione per la libertà…

Non ci mancava che Singapore, una città-stato con circa cinque milioni di abitanti, collocata ai piedi della penisola della Malesia, per alimentare la campagna di insofferenza portata ormai ad una discriminazione assoluta nei confronti di quelli etichettati spregevolmente come no-vax. Bene, là avrebbero deciso di far pagare le spese dell’ospedalizzazione ai non vaccinati, una strizzatina d’occhio per dove si potrebbe arrivare se non ci fosse di mezzo la nostra Costituzione che malauguratamente non lo permette; se poi quel remoto lembo d’oriente è governato dalle elezioni del 1959 dallo stesso Partito d’azione popolare, sì da essersi meritato da parte della ong Freedom House la qualifica di Paese “parzialmente libero”, con tanto di pena di morte e di condanna alla fustigazione, non sembra proprio meritevole di menzione. Singapore è lontano, ma l’Austria è vicina, certo non se la passa bene, però dar per scontata una misura come quella del lockdown domestico dei non vaccinati che per ora il cancelliere Alexander Schallenberg si è dichiarato pronto a introdurre se la situazione dovesse peggiorare, suona invero eccessivo.

È una campagna ossessiva condotta da quasi tutti i mass media, che sembra destinata a suscitare una rabbia incontenibile verso i no-vax, esposti alla duplice condanna di essere a-scientifici e untori, tanto che riecheggia continuamente per i non vaccinati l’introduzione di un obbligo, inteso al limite come un trattamento sanitario obbligatorio, un inseguimento in piena regola con tanto di camicia di forza e di siringa. Ma così non è, né può essere, per ragioni costituzionali e pratiche, sì che tale introduzione non potrebbe tradursi in una sorta di esecuzione specifica, con la solerte partecipazione della magistratura e della polizia, bensì in un allargamento dell’universo di riferimento, tutti i presenti sul territorio nazionale, cittadini e non, tenuti a farsi fare il vaccino a pena dell’applicazione di sanzioni, esclusione di qualsiasi mobilità e attività fino all’estremo del lockdown domestico e/o condanna alla corresponsione di una somma di denaro. Non c’è arrivato nessun Paese in Europa, neppure abbastanza vicino, ma da quando si è caduti nella solita paranoia di essere un esempio virtuoso, cui prima o poi ci si dovrebbe adeguare al di là delle Alpi, con tanto di rigonfiamento dell’orgoglio patrio, non c’è niente da fare, giorno e notte risuonano i bollettini di una tenuta esemplare alla lotta al Covid-19, testimoniata da una panoramica comparativa scelta alla bisogna, che sembra accompagnata dalle note squillanti dell’inno nazionale.

Mi ritorna un precedente divenuto oggi drammaticamente presente: quando si fece il referendum sul ricorso al nucleare, si disse allora che toccava a noi fare il primo passo, dare l’esempio, poi a poco a poco sarebbe stato seguito fino a bandire del tutto quel tipo di energia. Non è andata affatto così, anzi il nostro Paese è rimasto tagliato fuori dalla ricerca su nuove centrali, per ritrovarsi oggi altamente debitore alle fonti fossili, cui non credo proprio si possa porre rimedio moltiplicando a dismisura pale eoliche sempre più alte e pannelli solari sempre più estesi. Ma tanto c’è la Francia, decisa ad andare avanti costruendo nuove centrali al passo con i tempi, perché anche se noi non vi partecipiamo, ancora attardati a ricercare un deposito per le scorie nucleari, la rivoluzione tecnologica va avanti, resta da dire che continueremo a condividere quel terrore dell’incidente ereditato da Chernobyl 1986 e a pagare al Paese transalpino il rifornimento di energia nucleare.

Niente da dire sulla realtà di una “quarta ondata”, che a sentire il borbottio dei palazzi romani, come enfatizzato dai quotidiani e dai telegiornali, giustificherebbe il prolungamento dello stato di emergenza almeno fino a giugno dell’anno prossimo, ma se la risposta dovesse essere solo la somministrazione di una terza dose, accompagnandola con tutte le misure restrittive vigenti, anzi rafforzandole ulteriormente, niente ci garantisce che a giugno non sarà all’ordine del giorno una ulteriore proroga. Come al solito i virologi accampati nei vestiboli delle redazioni e dei talk show, si dicono tutti sicuri dei loro scenari, anche se non sono affatto d’accordo sulla resa della terza dose: chi dice che creerà una immunità stabile, chi controbatte che sarà necessaria una vaccinazione annuale, addolcendo la previsione con renderla comune con quella antinfluenzale. Eppure, si continua a parlare di una scienza con la “s” maiuscola, concentrata tutta in un Comitato tecnico-scientifico nominato dallo stesso governo, con un codazzo di professori più o meno qualificati che gareggiano nel tener desta l’attenzione su scenari apocalittici, fino a renderla nevrotica, un clima di paura costante che a lungo andare sfocia in una indifferenza protettiva.

Beata l’Inghilterra dove, a quanto riferito dai corrispondenti, non si scrive né si parla del Covid, pur essendo presente, cercando di conviverci col massimo della libertà, che certo per rimanere tale richiede di dar per scontato un certo tasso di infezione, di ospedalizzazione, di morte. Già questo è ciò che ci divide, il costo della libertà che si è disposti a pagare, da noi niente e nessuno, dovesse pur ridursi quel tasso a poche unità, eppure quelle poche decine di morti che sono procurate quotidianamente dal Covid-19 sono solo una infinitesima percentuale di quelle dovute ad altre cause, tutte postergate alla infezione del secolo.

Già siamo qui perché ci siamo comportati bene, facendo balenare come alternativa lo spettrale scenario di tutti a casa, con conseguente traumatica interruzione della ripresa economica, ma se pure la teoria della dittatura sanitaria appare esagerata, c’è, tuttavia, qualcosa di preoccupante in questa lenta deriva autoritaria, che crea una sorta di assuefazione all’essere eterodiretti. Non ultima la divinizzazione di Draghi, uomo solo al comando, all’insegna di un motto che suona nostalgico, quello del tirare diritto, nonostante anzi contro i partiti, sì da rendere quasi un incubo il fatto che proprio a questi verrà restituito il comando alle elezioni politiche del 2023.

Anzi, già adesso il nostro ex presidente della Banca centrale europea domina lo scenario delle elezioni del prossimo presidente della Repubblica, che se si presentasse sbancherebbe il Parlamento, con un’unica remora da parte dei parlamentari di essere così condannati ad andarsene a casa per la impossibilità di trovargli un successore a capo del Governo, con conseguente scioglimento anticipato delle Camere. C’è chi, a sinistra, pensa di tenere tutto fermo almeno fino all’inizio del 2023, riconfermando Mattarella al Quirinale, casomai sull’esempio Napolitano solo per un certo tempo, lasciando sospeso il come assicurarsene, forse con un impegno pubblico nello stesso discorso di investitura, e tenendosi per buono Draghi, che dovrebbe farsi carico di fermare il Covid-19 e di realizzare il PNRR, come se tutto questo potesse aver luogo in poco più di un anno.

Il barbuto filosofo, Cacciari, non è il migliore sostenitore del suo pensiero sul presente, con quell’apparire quasi disperato, come se tutto fosse ormai consumato, ma certo il clima appare poco salubre, la rabbia verso i contrari, certo assai più numerosi dei non vaccinati, anche i vaccinati contro-forza non saranno no-vax, ma almeno no-greenpass, nonostante il tentativo ormai vincente di metterli tutti nello stesso sacco. Da un lato sono etichettati come una minoranza di una minoranza, una congrega di pochi, pazzi o ignoranti a scelta, egoisti attorcigliati sui propri ombelichi, tanto minima da poterla considerare quasi inesistente; dall’altro come una massa capace di turbare la pubblica quiete, allontanare i clienti dai negozi, diffondere l’infezione. Bene, occorre dare una stretta, ecco la stralunata ministra dell’interno, che ancora non si è ripresa dalla sorpresa di essere stata nominata e confermata al Viminale, cercare di farsi perdonare la svista del sacco della Cgil, peraltro sfruttata alla perfezione da una sinistra lasciata sfilare per Roma nel giorno del silenzio elettorale, farlo con il ricorso alla mano forte, gli idranti sul sit-in di Trieste, le cariche di contenimento a Milano, la condanna al confino per le manifestazioni no-vax/no-greenpass, da tenersi nell’estrema periferia, se possibile in aperta campagna, letteralmente inchiodati al terreno, con tanto di mascherine protettive, più l’invito implicito ai mass media di non parlarne affatto, se non se ne parla la manifestazione non esiste. A quanto ne so a Parigi i gilet gialli hanno continuato a sfilare settimana dopo settimana nel centro, dando luogo a violenti scontri, ma quella è la terra di una rivoluzione che ha cambiato il mondo.

La storia di un popolo parla per il suo presente, la nostra non è mai stata particolarmente ispirata da una forte convinzione per la libertà, per quanto se ne dica, neppure la parte più consistente della resistenza, quella comunista, vi si richiamava: vinta la guerra, la meta era costituita da una cosiddetta democrazia progressiva all’insegna della dittatura del proletariato. Questo spiega la nostra particolare fragilità democratica, che venne solo sfruttata dalla cosiddetta controrivoluzione fascista, ma era ed è radicata in una vicenda plurisecolare, finendo di essere padroni con Roma, siamo diventati servitori, con Spagna, Francia, Austria. Pur ora c’è chi ci ricorda, come Romano Prodi, uomo mitizzato molto al di là del suo effettivo valore, che l’Europa, parola qui evocativa di una forza oscura e irresistibile, non ci permetterebbe di varare un governo del centrodestra, quello attuale fondato sul trio Berlusconi, Meloni, Salvini, appunto non ci dice come, apparentemente realizzato con qualcosa di simile alla guerra aperta a tutto campo contro l’Ungheria e la Polonia, sulla questione di uno stato di diritto costruito a misura dalla burocrazia di Bruxelles, ma sostanzialmente realizzato in forza del cordone della borsa, in mano non solo alla Commissione e alla Banca centrale europea, ma anche a istituzioni finanziarie estere, Berlusconi docet.

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