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Parigi, Nizza, Vienna: Erdogan mandante morale, vuole ergersi a leader dell’islamismo per fini geopolitici

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Prima l’uccisione a Parigi di un professore francese, Samuel Paty, colpevole di aver mostrato le vignette di Charlie Hebdo su Maometto in classe, poi l’attentato di Nizza ed infine quello di Vienna. Tre azioni terroristiche che, pur se in luoghi diversi, hanno tutte una sola matrice, quella islamista.

Queste stragi, al di là dei responsabili materiali, hanno anche dei mandanti morali: quella dei leader di Paesi che proprio dell’Islam politico hanno fatto la loro arma ideologica e soffiano sul fuoco dello scontro di civiltà con l’Occidente, proprio perché da questo scontro traggono un vantaggio geopolitico.

A prescindere da cosa pensiamo ciascuno di noi delle vignette di Charlie Hebdo, infatti, non è l’Occidente che ha dichiarato guerra all’Islam. L’Occidente ha la colpa di essere se stesso in casa propria, ovvero credere nella possibilità di una convivenza pacifica tra le fedi, nonostante l’esistenza di frange estremiste pericolose che hanno ben altri fini e che sfruttano la libertà concessa loro nel mondo libero.

Non tutto l’Islam cerca uno scontro con l’Occidente, soprattutto oggi. In questo periodo storico, assistiamo infatti ad un progresso religioso di una parte dell’Islam – sia sunnita che sciita – di massima importanza, che purtroppo fa poco clamore. Come dimenticare che gli Accordi di Abramo tra Israele e parte del mondo arabo-islamico sono anche figli di un percorso religioso che ha autorizzato, negli anni, il dialogo con il mondo ebraico? Come dimenticare che, appena pochi giorni fa, in Albania si è svolto un congresso internazionale sull’antisemistimo e che il Global Imam Council – una organizzazione islamica a prevalenza sciita, di base a Baghdad, nata per contrastare l’Isis – ha incredibilmente deciso di adottare la definizione di antisemitismo dell’IHRA? E infine, come dimenticare che un Paese islamico come il Kosovo ha deciso di mettere fuori legge Hezbollah?

Ma a fronte di una parte del mondo islamico che progredisce, un’altra ha fatto dell’Islam politico il suo credo e la sua azione, assumendosi la responsabilità morale – ma molto spesso molto più che morale – di molte delle gesta terroristiche sia contro chi nel mondo islamico la pensa diversamente, sia contro l’Occidente. In particolare, oggi come oggi, sono due gli attori che per eccellenza cavalcano l’Islam politico: il primo, il più noto, è l’Iran, che dal 1979 fa del finanziamento al terrorismo internazionale la sua arma più avanzata per perseguire gli scopi per cui è nata la velayat-e Faqih. C’è poi un secondo attore, che da qualche anno si è aggiunto a Teheran, ed è la Turchia di Erdogan.

Ed è proprio Erdogan il principale mandante morale di quanto accaduto a Nizza e Vienna. È il presidente turco che, in questi giorni, ha cavalcato lo scontro con l’Occidente – con la Francia in testa – accusando Macron di essere un pazzo e affermando “noi non dobbiamo mai dimenticare che l’ostilità dell’Europa verso l’Islam è anche una ostilità contro i turchi, perché per un occidentale, un musulmano è un turco e un turco è un musulmano”.

Insomma, della Turchia di Ataturk ormai non sembra essere rimasto praticamente niente, una parentesi, sia pure lunga, della storia. Ciò a cui assistiamo oggi, purtroppo, è solo la punta dell’iceberg di un processo che dura ormai almeno dieci anni. In questo periodo, infatti, Erdogan ha coltivato un pericoloso network islamista, verso il quale ha chiuso due occhi in Siria, e al quale ha dato un sostegno diretto, come all’organizzazione Millî Görüş, quella a cui qualcuno vorrebbe ancora affidare la costruzione di una Moschea a Milano. Un network che, per parlare solo dell’Italia, arriva fino alla più grande organizzazione islamica italiana – l’UCOII – ormai totalmente agli ordini del presidente turco (che con la compiacenza di alcuni partiti politici nazionali è riuscita ad eleggere anche dei rappresentanti politici nelle istituzioni locali).

Ora, la domanda successiva è: Erdogan è un pazzo? Ovviamente no. Un fanatico, un egocentrico, ma il suo è un piano che ha molto poco di folle. Per Erdogan, ergersi a guida morale dell’islamismo, significa ergersi a guida di migliaia di estremisti che serviranno al leader turco come carne da macello per i suoi fini geopolitici. Questi estremisti – alcuni dei quali meri predicatori, altri politici, altri pronti ad arruolarsi in milizie finanziate da Ankara e altri ancora pronti a farsi saltare in aria su ordine di un qualche mullah legato a organizzazioni terroristiche – servono alla Turchia per mantenere una proiezione offensiva, per difendere i proprio confini se necessario, o anche per negoziare con l’Occidente, quando le cose si mettono male.

Perché in questo periodo, in realtà, per i master dell’islamismo le cose non vanno molto bene. L’Iran, stretto tra pandemia e sanzioni, è quasi al collasso. La Turchia, impegnata in troppi teatri esteri (Siria, Libia, Mar Mediterraneo, Nagorno Karabakh), non ha più i soldi per finanziare tutta questa proiezione offensiva e la lira turca ormai non fa che perdere di valore. In questo senso, quindi, non deve sorprendere che soffiare sul fuoco dell’estremismo, forse anche senza esserne i mandanti materiali, serve ad alzare la posta, per poi costringere il nemico a venire a patti con te per calmare le acque.

D’altronde, noi in Italia questa strategia la conosciamo bene, purtroppo: è quella usata dalla mafia negli anni passati, quando lo scopo era quello di costringere lo Stato a venire a patti con i mafiosi. Stragi eclatanti, per generare terrore e forzare le gerarchie istituzionali a negoziare.

Non abbiamo alcun dato per indicare chi sia il mandate materiale delle stragi di Nizza e Vienna. Possiamo facilmente ipotizzare si tratti di singoli e cellule dell’Isis, arrivate anche via mare da Lampedusa e attivatesi al momento opportuno. Ma al di là delle responsabilità materiali, come suddetto, ci sono quelle morali e tutto sembra indicare il presidente turco.

Ciò che vuole Erdogan oggi, soffiando sul fuoco dello scontro di civiltà, è non solo intestarsi la guida di un network islamista pronto a sostenerlo ideologicamente e politicamente, ma anche di costringere leader come Macron e Merkel a dialogare con lui. Dialogare per cosa? Per trovare un accordo vantaggioso per la Turchia nel Mediterraneo orientale, dove guarda caso proprio la Francia è in prima fila nel sostenere l’alleanza tra Cipro, Grecia, Israele, Egitto e mondo arabo moderato. Un’alleanza che si spinge fino a Riad, proprio con gli Accordi di Abramo.

Si tratta dunque di decidere il da farsi: scendere a patti o resistere? Scendere a patti potrebbe voler dire ritrovare a breve termine la calma. Ma a che prezzo? I flussi dei migranti parlano chiaro: Ankara ha trasformato l’accordo con l’Ue sulla rotta dei Balcani in un rubinetto da aprire e chiudere a proprio piacere, senza mai fare mistero di chi fossero le mani su quel rubinetto. Resistere potrebbe, al contrario, voler dire ritrovarsi con ulteriore violenza islamista in casa, con Erdogan che continua a soffiare sul fuoco, seguito a ruota da Khamenei (che non a caso ha rispolverato il suo noto negazionismo). Ma resistere potrebbe anche significare costringere Erdogan (e Khamenei) alla resa: alla presa di coscienza che quel soffiare sul fuoco non paga e che soprattutto non risolve i problemi economici e sociali interni dei loro Paesi.

Potranno anche durare, ma Erdogan e Khamenei prima o poi passeranno. E ai leader che guideranno Turchia e Iran in futuro dovremmo mettere in chiaro che tipo di interlocuzione vogliamo avere, se basata sulla paura o sul mutuo rispetto…

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