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Pasqua in lockdown: la fiducia per ripartire la dobbiamo coltivare in ciascuno di noi

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C’è una bellissima luce primaverile ormai alle sei di sera da quando è tornata l’ora legale: in inglese viene indicata anche con il termine Summer Time e l’idea che trasmette è effettivamente quella di essere ormai rivolti alla bella stagione, che quest’anno vediamo germogliare stando in casa, affacciandoci al balcone o respirandola in giardino. Le sei della sera sono l’attimo in cui viene snocciolato un elenco freddo di numeri, seguito da alcune considerazioni tecniche che svaniscono nella spasmodica volata dei canali d’informazione per raccontare per primi se il contagio stia aumentando o rallentando.

Siamo invitati alla prudenza, a rispettare obblighi e divieti – ed è davvero difficile trattenersi anche solo con il pensiero dal voler mettere il piede fuori dall’uscio, immergendosi nel silenzio delle strade, dei viali e dei sentieri. Ci viene raccontato che nulla sarà come prima o che per lo meno molte abitudini cambieranno e alcune testate internazionali di prestigio come il New York Times o il Wall Street Journal, si sforzano nel disegnare il mondo di domani con ragionamenti approfonditi ed edotti e che suscitano dell’angoscia. Non è improbabile, tutt’altro. Ma per reagire, come occorrerà fare dopo lo tsunami Covid-19 con le ossa rotte, un’economia al palo e molte morti da piangere, occorre trovare ottimismo: se non sono gli altri, chi parla rivolgendosi al popolo, a infonderlo, tocca agli individui farlo. Tenendo ben a mente che ciascuno di noi, legandosi agli altri, mette in piedi una comunità ancor prima che sia qualche norma a regolarizzarla o costituirla.

È la storia dell’uomo che ha già attraversato e vissuto altre pandemie, ben peggiori di quella che ci circonda: d’altronde siamo nel 2020, la tecnologia e la scienza coltivate dall’uomo sono venute in nostro soccorso, tamponando le falle inevitabilmente commesse nell’evolversi della diffusione del virus. Non siamo fatti per essere confinati per troppo tempo a meno che un individuo decida di farlo autonomamente; mettiamo in piedi relazioni sociali che ci consentono di evolvere e di dare continuità al nostro vissuto, raccogliendo il testimone da chi non c’è e consegnandolo a chi verrà, i not yet born cari a Edmund Burke, Roger Scruton e tanti altri famosi pensatori.

Arriva la Pasqua dopo una Settimana santa a porte chiuse. Per i credenti è il concretizzarsi del mistero della fede, la vittoria sulla morte che viene annunciata in piena notte, durante la veglia, con la luce del cero battesimale. Per chi non coltiva il dono della fede, ma non presta il fianco alla strafottenza spicciola di chi giudica la liturgia una sottocategoria di rituali inutili, è il palesarsi di una nuova stagione dopo il torpore prolungato dell’inverno (ti svegli che è ancora buio ed esci dal lavoro che è già scuro).

Nella Bassa lodigiana che per prima è stata recintata, si semina per il raccolto estivo. Le sere sono sempre cariche di umidità, è una costante, ma invitano a fare due passi: i Dpcm non lo consentono al momento, ma almeno con il pensiero – lo stesso che ci spingerebbe a mettere il piede fuori dall’uscio – ci si può adagiare guareschianamente sulla riva del fiume a spendere due parole con il fantasma di un morto che passa di lì, per comprendere che occorre custodire la fiducia e cavarcela da noi.

Auguri.