Pasqua in rosso? Così non va: Governo Draghi già nel pallone, non riesce a cambiare schema

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Sembra essere già finito nello stesso circolo vizioso del Conte 2: Dpcm che si rincorrono, strategia di contenimento nel caos e campagna vaccinale che stenta a decollare, ristori in ritardo e insufficienti, circo mediatico di ministri ed esperti (Iss e Cts)… E intanto arrivano gli aumenti per gli statali, un vero e proprio affronto ai produttori – imprenditori e lavoratori – non garantiti…

No, non ci siamo ancora. A due giorni dalle prime 4 settimane dal suo insediamento, il governo Draghi non è ancora riuscito a dare segnali di un sostanziale cambio di rotta rispetto alla fallimentare gestione sanitaria, economica e giuridica dell’emergenza Covid da parte del suo predecessore. Troppo poco, in quasi un mese, la sostituzione del commissario Arcuri – davvero il minimo della decenza. Il secondo atto di “rottura”, fino ad oggi, rispetto alla gestione precedente della campagna vaccinale è stato il blocco dell’esportazione in Australia di 250 mila dosi di vaccino AstraZeneca “infialate” ad Anagni, vicino Roma. Ce ne siamo già occupati la scorsa settimana su Atlantico Quotidiano: un atto simbolico, anzi demagogico, dall’effetto pratico nullo. Solo un dito nell’occhio ai nostri alleati. L’inadempienza contrattuale della casa farmaceutica andrebbe eventualmente provata nelle appropriate sedi legali, non sanzionata unilateralmente con misure di embargo.

Sul piano giuridico, prosegue l’abuso dei Dpcm per adottare restrizioni che vanno ad incidere su libertà tutelate dalla Costituzione.

Esattamente come durante il Conte 2, appena fatto un Dpcm ecco che riparte il pressing per una “nuova stretta”. Con il Dpcm del 6 marzo saremmo dovuti arrivare fino a Pasqua, invece molto probabilmente ce ne sarà un altro, come a Natale. E la “decisione finale” del governo sulle nuove misure slitta di giorno in giorno, con svariate ipotesi che si rincorrono, tenendo l’opinione pubblica, ma soprattutto imprese e lavoratori, con il fiato sospeso su ciò che si potrà o non si potrà fare da qui a pochi giorni. L’ultimo rinvio è a venerdì, domani, quando il Consiglio dei ministri si riunirà per valutare l’adozione di ulteriori misure, riferiscono fonti di Palazzo Chigi.

Il Cts preme per la zona rossa in tutta Italia nei weekend, proprio come durante le festività natalizie, e per misure più restrittive anche in zona gialla. Al che uno si chiede cosa ci stia a fare il sistema a “zone colorate”, e che credibilità abbiano coloro che l’hanno messo a punto, se sono gli stessi che quando i dati migliorano, cambiano i parametri per alzare l’asticella; e quando peggiorano, ovviamente, invocano misure più restrittive di quelle che loro stessi avevano poco tempo prima giudicato appropriate per le diverse colorazioni. Per carità, può ben darsi che i parametri fossero sballati e le misure insufficienti, ma allora chi li ha elaborati dovrebbe assumersene la responsabilità e dimettersi, non smentire se stesso da un giorno all’altro con totale disinvoltura.

Sul fronte sanitario, non si intravedono rivoluzioni né dal punto di vista delle terapie, rafforzando e riorganizzando la medicina territoriale per curare a casa i malati Covid prima che si aggravino – come è possibile fare, ormai questo l’abbiamo capito tutti – né nella trincea ospedaliera, attrezzandola ad assorbire un maggior numero di pazienti senza trascurare le altre malattie e cause di morte, che nel frattempo non sono scomparse…

Il piano vaccini è ancora quello di Arcuri e Speranza, mentre le Regioni sono tentate di andare in ordine sparso. Si sente parlare con insistenza di un “lockdown per vaccinare”, che non avrebbe ovviamente alcun senso. Non c’è alcuna correlazione tra le due cose, come dimostrano le esperienze di Paesi che stanno facendo molto meglio di noi. Non è che il solito spudorato tentativo di “coprire” le responsabilità governative nella lentezza della campagna. Ma ora, con una ulteriore aggravante: con ben tre vaccini (e un quarto monodose in arrivo) sicuri e molto efficaci (90-100 per cento rispetto alle forme gravi della malattia), ogni giorno di restrizioni in più, ogni singola vittima, sono ancor più da addebitare all’incapacità del governo nel rafforzare il fronte sanitario e nel velocizzare la campagna vaccinale.

Che ancora, a marzo inoltrato, sia aperta la discussione sui gruppi a rischio a cui dare priorità di vaccinazione dimostra tutta l’impreparazione di un piano che avrebbe dovuto essere pronto a ottobre… Questo non si può certo imputare a Draghi, ma il nuovo governo non sembra essere entrato in campo con le idee chiare. Non ci resta che sperare in una svolta dal generale degli Alpini Figliuolo, capo della logistica militare, ci aggrappiamo a lui…

Sul fronte economico, in concomitanza con il varo del nuovo Dpcm contenente il regime di restrizioni per il periodo dal 6 marzo al 6 aprile, era stato assicurato che questa volta i “ristori” sarebbero stati adottati subito, e comunque prima della sua entrata in vigore, quindi del 6 marzo. Ma è trascorsa già una settimana e pare dovremo attenderne un’altra prima che il nuovissimo “Decreto Sostegno” veda la luce. Quindi, al momento, attività chiuse senza indennizzi (e le ipotesi che trapelano non sono rassicuranti) e genitori con i bambini a casa senza congedo parentale.

Già, la scuola. Altro capitolo nel quale non si vede all’orizzonte alcuna novità. Anzi, abbiamo un ministro dell’istruzione che candidamente ammette che “non c’è una data per la riapertura”. Così, en passant, senza suscitare troppe reazioni indignate. Intanto, stanno vaccinando insegnanti e docenti universitari, con priorità anche rispetto alle persone a rischio per patologie pregresse: torneranno a fare lezione in presenza non appena saranno tutti vaccinati, oseremmo pensare, senza però osare scommetterci…

Prorogati il blocco dei licenziamenti, il blocco degli sfratti, il blocco della riscossione delle cartelle esattoriali (mentre le notifiche sono ripartite), nodi irrisolti su cui il governo, come il suo predecessore, continua a buttare la palla in tribuna.

E proprio ieri la beffa. Mentre tanti lavoratori del settore privato o autonomi vedono azzerato o decurtato il proprio reddito a causa non solo della pandemia, ricordiamolo, ma anche delle chiusure imposte dal governo; mentre collassa il gettito fiscale e il debito pubblico galoppa; mentre la maggioranza respinge tetragona gli emendamenti presentati dall’opposizione per riaprire palestre e piscine almeno in zona gialla; ebbene, il premier Draghi con al suo fianco il ministro socialista Brunetta annuncia in pompa magna un nuovo contratto collettivo per i dipendenti pubblici. Formazione, certo, smartuorchin, ma soprattutto gli immancabili aumenti. Non solo un’insensatezza economica, ma un vero e proprio affronto ai produttori – imprenditori e lavoratori – non garantiti.

E no, nemmeno nella comunicazione governativa è cambiato poi molto dal Conte 2. Certo, Draghi ha uno stile più sobrio, parla il meno possibile, non soffre di annuncite, ma intorno a lui l’andazzo è quello a cui eravamo abituati: dai ministri fino all’ultimo degli uscieri ciascuno si sente in diritto di dire la sua, lanciare questa o quella misura e prevedere sciagure. Già all’indomani del difficile parto dell’ultimo Dpcm, su tutti i media è ripartita la girandola delle dichiarazioni di membri del Cts, dell’ISS e dello stesso Ministero della salute, alimentando l’insicurezza e lo spaesamento dei cittadini. E alla cacofonia di voci fa da contraltare il silenzio del premier, che a questo punto cominciamo a chiederci se non sia da interpretare come indecisione.

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