Una delle zone più ricche del pianeta, ma allo stesso tempo anche una delle più pericolose. La regione in cui è avvenuto l’attacco che è costato la vita all’ambasciatore Luca Attanasio, al carabiniere Vittorio Iacovacci e al loro autista Mustapha Milando, è il Nord Kivu, situata nella parte orientale del Congo, al confine con altri due Stati da sempre soggetti ad instabilità politica: Uganda e Ruanda.
La Repubblica Democratica del Congo, secondo Paese al mondo per sfollati interni, è una nazione ricchissima di materie prime. Una miniera a cielo aperto, tra gas naturale, cobalto, petrolio e coltan – lega che serve per le componenti degli smartphone – costantemente soggetta alle incursioni di milizie mosse da interessi economici e dal controllo di queste risorse.
Tra le principali milizie, la sigla Mayi-Mayi, protagonista della cosiddetta “Guerra Mondiale Africana”, il conflitto che, tra il 1998 ed il 2004, causò più di 5 milioni di morti. Ma anche le Forze di Liberazione del Ruanda, di etnia Hutu, responsabili del “Genocidio del Ruanda”, uno degli eventi più sanguinosi del XX secolo – in una sola estate, quella del 1994, un milione di morti.
Secondo le prime fonti, proprio quest’ultima milizia potrebbe essere la responsabile dell’uccisione dei due italiani, ma le forze ruandesi hanno respinto le accuse del governo e negato qualsiasi coinvolgimento nell’attentato, scaricando la colpa sui militari.
Si badi bene però: nel 2018, nella medesima area, le milizie ruandesi sequestrarono due civili inglesi – poi rilasciati due giorni dopo – con l’obiettivo di mettere le mani sulle infinite riserve naturali del Paese ed intimidire la missione Monusco dell’Onu, un’operazione di peacekeeping ormai operante sul territorio da più di dieci anni.
La regione del Nord Kivu resta quindi un’area caratterizzata da una fortissima instabilità politica, in grado di sfuggire al controllo di un governo centrale dimostratosi, da trent’anni a questa parte, troppo debole per contrastare le continue violenze delle milizie presenti nel Paese.