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Pechino non ha informato l’Oms di sua iniziativa: dubbi sulla prima segnalazione e la condivisione del genoma

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Abbiamo tutti dato per acquisito che fosse stata Pechino ad informare l’Oms il 31 dicembre 2019 dei primi casi di polmonite da causa sconosciuta, e a condividere il genoma del virus il 12 gennaio. Ma potrebbe non essere così

A volte anche le voci più critiche e attente possono cadere nella trappola della propaganda cinese e della sua spalla destra all’Oms, il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus. Ricordiamo in particolare le parole di Tedros il 28 gennaio scorso quando, a seguito dell’incontro con Xi Jinping a Pechino, ha elogiato la Cina per “aver fissato un nuovo standard per il controllo delle epidemie” e per la sua “apertura nella condivisione delle informazioni” con l’Oms e altri Paesi.

Nonostante la cautela e lo scetticismo riguardo l’operato di Pechino nella gestione iniziale della pandemia di Covid-19, abbiamo tutti dato per acquisito che fosse stato il Partito comunista cinese ad informare le autorità internazionali il 31 dicembre 2019 circa i primi casi di polmonite da causa sconosciuta. Che primi non erano: il primo caso sospetto infatti pare essere dell’inizio di dicembre.

Ma ora, per stessa ammissione di Pechino, nemmeno tale data può ritenersi corretta come prima comunicazione all’Oms. E la domanda urgente si pone: fosse stato per il Partito comunista cinese, quando avrebbe informato il mondo? Seguitemi.

Il 5 gennaio 2020, l’OMS pubblica un comunicato stampa in cui esordisce:

“Il 31 dicembre 2019, l’OMS China Country Office è stato informato dei casi di polmonite di eziologia sconosciuta (causa sconosciuta) rilevata nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei. Al 3 gennaio 2020, le autorità nazionali cinesi hanno segnalato all’Oms un totale di 44 pazienti con polmonite con eziologia sconosciuta. Dei 44 casi segnalati, 11 sono gravemente malati, mentre i restanti 33 pazienti sono in condizioni stabili. Secondo i media, il mercato interessato a Wuhan è stato chiuso il 1° gennaio 2020 per servizi igienico-sanitari e disinfezione ambientale.”

Dinanzi alle lodi dell’Oms alla gestione della crisi da parte di Pechino – nonostante il continuo susseguirsi di notizie circa la censura, l’insabbiamento e la sparizione di voci indipendenti – salta oggi agli occhi l’omissione della fonte della segnalazione ricevuta dall’Oms in data 31 dicembre. Soprattutto perché vengono nominate espressamente le autorità nazionali cinesi come fonte dell’informazione sul numero dei casi.

Però c’è di più, come apprendiamo da un approfondimento dalla stessa Oms su Twitter in data 29 aprile:

“Il 31 dicembre [2019], l’Epidemic Intelligence System dell’Oms ha raccolto un rapporto su un gruppo di casi di polmonite sconosciuta a Wuhan. Il giorno seguente, Capodanno, l’Oms ha chiesto alla Cina maggiori informazioni ai sensi del Regolamento sanitario internazionale e ha attivato il nostro team di supporto alla gestione degli incidenti, per coordinare la risposta attraverso la sede centrale e gli uffici regionali e nazionali. (…) Il 3 gennaio, la Cina ha fornito informazioni all’Oms attraverso una riunione faccia a faccia a Pechino e attraverso il Sistema di informazione sugli eventi dell’Oms istituito ai sensi del Regolamento sanitario internazionale.”

Continua dunque non solo l’omissione della fonte originale della segnalazione ricevuta il 31 dicembre, ma diventa evidente che le autorità nazionali cinesi forniscono le informazioni relative al numero dei casi soltanto dietro espressa richiesta dell’Oms, e non di loro iniziativa come ci viene ancor oggi prospettato quotidianamente dagli organi di propaganda cinese (e dai media occidentali).

Inoltre, il 6 aprile scorso, è proprio Xinhua, l’agenzia statale cinese, a pubblicare una timeline circa la condivisione delle informazioni e la cooperazione internazionale del governo cinese sul Covid-19. Nella quale, dopo le consueti lodi al Partito comunista cinese e alla sua eccellente gestione della crisi, si conferma quanto dichiarato dall’Oms. Mentre la timeline inizia alla fine di dicembre, la prima menzione dell’Oms e altri Paesi non arriva prima del 3 gennaio, quando si legge che “cominciando dal 3 gennaio, la Cina ha regolarmente informato l’Oms, Paesi e regioni rilevanti, e i territori cinesi di Hong Kong, Macao e Taiwan circa lo scoppio di un epidemia di polmonite. La Cina ha cominciato ad informare gli Stati Uniti circa l’epidemia e le misure di risposta su base regolare.”

In una timeline alternativa pubblicata dall’Oms, aggiornata al 27 aprile 2020, spunta di nuovo fuori la data del 31 dicembre:

“La Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan, Cina, ha fatto rapporto di un gruppo di casi di polmonite a Wuhan, nella provincia di Hubei. Un nuovo coronavirus è stato alla fine identificato.”

Insomma, chi ha fatto rapporto all’Oms? Secondo Xinhua, il 30 dicembre la Commissione emette in effetti una notifica urgente, ma soltanto alle istituzioni mediche sotto la sua giurisdizione. Il 31 dicembre, poi, “nelle ore piccole” la Commissione sanitaria nazionale decide di inviare un gruppo di esperti a Wuhan per guidare la risposta all’epidemia e condurre indagini in loco. Lo stesso giorno, la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan avrebbe pubblicato sul suo sito web un briefing sull’epidemia di polmonite in città, confermando 27 casi e dicendo al pubblico di non andare in luoghi pubblici chiusi o di radunarsi. Avrebbe anche suggerito di indossare mascherine per uscire. Sempre a partire dal 31 dicembre 2019, la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan avrebbe rilasciato informazioni sull’epidemia di polmonite in conformità con la legge.

Lasciamo da parte ora le più che legittime perplessità sul briefing al pubblico che sarebbe stato pubblicato dalle autorità di Wuhan, visto che nelle stesse ore veniva portato alla stazione di polizia il medico Li Wenliang, per aver avvertito sette suoi colleghi circa gli strani casi di polmonite riscontrati, e ammonito di fermare il suo spargimento di panico.

Spicca di nuovo la mancanza di un minimo accenno ad informazioni condivise con autorità competenti internazionali. E a questo punto diventa più che lecito chiedere: chi è la fonte della segnalazione in data 31 dicembre al China Country Office dell’Oms? Una pista probabile sembra quella di Taiwan, considerato parte integrante del territorio cinese da parte di Pechino e ragione per cui non siede all’interno dell’Oms.

L’11 aprile, Taiwan ha reso pubblica una sua richiesta di informazione all’Oms proprio in data 31 dicembre 2019, in cui faceva riferimento a fonti giornalistiche che riportavano notizie di sette casi di polmonite a Wuhan, sulle quali le autorità locali avrebbero dichiarato di non credere si trattasse di SARS, ma i cui campioni erano ancora sotto esame. Taiwan chiedeva espressamente di essere informata circa queste notizie, ma non riceverà mai risposta. Conoscendo il regime del Partito comunista tira le conclusioni e si dimostra il vero Paese modello nella gestione della pandemia, modello che purtroppo ci viene nascosto dalla banda connivente di Pechino e il più alto funzionario dell’Oms.

È sempre più evidente la necessità di un’inchiesta indipendente internazionale come auspicato da un numero crescente di Paesi. Non si può rinunciare a trovare risposte a domande come quella poste all’interno di questo articolo: chi e quando ha informato l’Oms circa l’inizio dell’epidemia a Wuhan? Se non sono state le autorità cinesi, quando queste avrebbero condiviso le informazioni, se non fosse arrivata la richiesta dell’Oms?

E ancora: perché il 1° gennaio viene disinfettato il mercato del pesce di Wuhan prima di eventuali verifiche come invocate da esperti? Perché ai laboratori locali viene ordinato di distruggere tutti i campioni patologici in loro possesso? Perché il laboratorio Shanghai Public Health Clinical Center guidato da Zhang Yong-Zhen, che condivide per primo la sequenza genetica del nuovo coronavirus con la comunità internazionale l’11 gennaio, viene chiuso il giorno seguente, mentre quello stesso 12 gennaio le autorità nazionali condividono “ufficialmente” la sequenza con il mondo? Perché, perché, perché? La lista si allunga ogni giorno e il rifiuto di ammettere esperti internazionali a svolgere un’inchiesta di verifica le rende solo più pertinenti. Soprattutto perché, in fin dei conti, se fosse tutto limpido come dichiarano ogni giorno le autorità di Pechino, sarebbe innanzitutto nell’interesse della stessa Repubblica Popolare Cinese fare chiarezza, a spalancare le porte del Paese e accogliere gli esperti a braccia aperte. Cosa aspettano?