La Repubblica Popolare attraverso il primo ministro Li Keqiang ha annunciato che introdurrà una nuova legge per la sicurezza nazionale di Hong Kong. La notizia si era già diffusa per mezzo di un articolo del South China Morning Post e la comunicazione del premier al Congresso Nazionale del Popolo l’ha confermata. Il piano prevede di attuare una svolta radicale che limiterebbe drasticamente l’autonomia dell’ex colonia britannica e dei suoi abitanti. L’invasione di campo di Pechino nel sistema legale indipendente di Hong Kong aveva già provocato massicce proteste l’anno scorso che hanno ridato vigore ai movimenti pro-democrazia ed indipendentisti.
La proposta sembra essere di ampia portata, infatti vorrebbe colpire sedizione, tradimento e secessione. Ma nella pratica sferrerebbe un duro colpo a qualsiasi manifestazione critica nei confronti di Pechino e delle sue ingerenze, oltretutto aggirando il sistema legale e di diritto della ex città-stato. Stando a quanto riporta la Bbc, Pechino ritiene che si debbano adottare “misure forti” per “prevenire, fermare e punire” qualsiasi protesta in futuro.
Questa decisione andrebbe ad intaccare la “Legge Fondamentale” che regola le relazioni tra la Cina ed Hong Kong e gli accordi stipulati tra Pechino e Londra nel 1997, quando i britannici cedettero la loro colonia. La realizzazione di questo progetto significherebbe la fine delle libertà politiche, e non solo, di cui la popolazione di Hong Kong ha comunque goduto fino ad ora e, addirittura, la conclusione del quadro politico-istituzionale “un paese, due sistemi”.
La decisione della Cina è probabile che alimenterà la rabbia ed innescherà nuove richieste di riforme democratiche che potrebbero sfociare in proteste e manifestazioni del campo pro-democrazia.
Di fronte ad un’evidente minaccia alla libertà di Hong Kong e dei suoi abitanti si sono già levate molte voci. Dagli Usa il segretario di Stato Mike Pompeo ha messo in guardia la Cina: ha “condannato” la proposta della nuova legge per la sicurezza nazionale su Hong Kong e “fortemente sollecitato Pechino a riconsiderarla”, minacciando forti ripercussioni economiche. “Noi siamo al fianco del popolo di Hong Kong”, ha aggiunto. Anche il Congresso si muove: il senatore repubblicano Josh Hawley sta preparando una “risposta rapida e decisa”. Infatti ha annunciato che presenterà una risoluzione che condanna questo tentativo di repressione ed invita tutte le nazioni libere a sostenere Hong Kong. Purtroppo l’Italia, il cui governo spesso si comporta come vassallo di Pechino, non raccoglierà l’invito mentre diversi altri Paesi lo stanno già facendo. Dal Regno Unito si sente qualche voce: Chris Patten, ultimo governatore di Hong Kong, ha richiamato il Governo di Sua Maestà ad assumersi le responsabilità necessarie nei confronti dell’ex colonia.
Da Hong Kong, il leader e simbolo delle manifestazioni Joshua Wong su Twitter lancia la sua sfida alla Cina, che è anche un appello a tutti noi: “La mossa di Pechino è una rappresaglia diretta contro gli sforzi degli abitanti di Hong Kong. Pechino sta tentando di mettere a tacere le voci critiche con forza e paura”, ma Hong Kong “non si spaventerà”. “Insistiamo non perché siamo forti, ma perché non abbiamo altra scelta”, conclude Wong.
Il progetto cinese di porre fine all’Hong Kong che conosciamo, alla sua libertà ma anche alla sua florida economia dovrebbe suscitare un moto nelle coscienze del mondo libero. Chiunque crede nei diritti, nella democrazia e nella libertà dovrebbe prendere le parti di Joshua e dei suoi compagni. La difesa di questo angolo di mondo, e di ciò che rappresenta, dal totalitarismo di Pechino dovrebbe essere per la generazione di questi tempi quello che il sostegno alle opposizione silenziose (e silenziate) dei regimi comunisti è stato per la generazione che ha pienamente vissuto la Guerra Fredda e la contrapposizione dei blocchi.
Mettere un freno all’espansionismo del Dragone è necessario, è vitale anche per il nostro futuro.