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Peggio del “comitato di conciliazione” solo l’ipocrisia di chi lo attacca ma ha sempre fatto così. Ecco come

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Poche cose spiegano meglio della guerra di parole che si è scatenata per ventiquattr’ore sul fantomatico “comitato di conciliazione” ipotizzato nella bozza di intesa tra Lega e M5S cosa sia in Italia, e nell’Italia della politica e dei mainstream-media, il doppiopesismo, cioè la sistematica applicazione dei due pesi e delle due misure: severità implacabile contro gli avversari, indulgenza plenaria per se stessi e gli amici.

Ma andiamo con ordine. Tra le parti oggettivamente più scombiccherate del documento gialloverde che un’ignota “manina”, l’altra sera, ha recapitato alla redazione dell’Huffington Post (immaginiamo: se non per far saltare tutto, quanto meno per sabotare l’operazione) c’è un paragrafo che, descrivendo il funzionamento dell’alleanza tra leghisti e grillini, si inventa un “comitato” chiamato a risolvere crisi e dissensi governativi su punti delicati. Ingenuamente, gli estensori del documento hanno messo tutto nero su bianco: “L’organismo è composto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal capo politico di M5S e dal segretario federale della Lega, dai capigruppo di Camera e Senato delle due forze politiche e dal ministro competente per materia. Alle riunioni partecipa anche come uditore il membro del governo responsabile dell’attuazione del programma nonché eventuali soggetti individuati dal Comitato”.

Inutile girarci intorno, la sgrammaticatura istituzionale è chiara: che ci sta a fare il Consiglio del Ministri se, in una specie di intesa privata e notarile, ti inventi un diverso luogo di soluzione delle questioni politiche?

Era dunque inevitabile che si scatenasse una tempesta di dichiarazioni, scomuniche, richiami, lanci di agenzie, crisi nervose degli ospiti dei talk-show. La solita batracomiomachia: guerra di rane gracidanti nello stagno politico e mediatico.

Peccato però (e qui sta il doppiopesismo) che la stragrande maggioranza di quelli che urlano e sbraitano da ventiquattr’ore non abbiano mai detto una parola, pronunciato una sillaba, levato un sospiro, per tutta una serie di altre invenzioni extra-istituzionali degli anni passati.

In quei casi, i vecchi partiti, astutamente, si sono ben guardati dal dare una veste para-giuridica alle loro “stanze di compensazione”: ma la funzione era esattamente la stessa, e cioè aggirare-scavalcare-bypassare-svuotare le sedi istituzionali e costituzionali, trasformandole in meri luoghi di ratifica di decisioni assunte altrove. Esempi? Quanti ne volete…

Primo: i vertici di maggioranza. Cioè riunioni tra capipartito di una coalizione per discutere di tutto: linea politica, nomine, cariche, incarichi, leggi e decreti. E il Parlamento e il Governo? Solo chiamati a eseguire.

Secondo: i caminetti. Cioè riunioni tra capi, sottocapi, vassalli-valvassori-valvassini di un singolo partito, in genere azionista di maggioranza del governo. Anche qui, per prefigurare decisioni da imporre a esecutivo e legislativo.

Terzo: i preconsigli dei ministri. Cioè riunioni informali tra pochi membri del governo, funzionari, capi di gabinetto, responsabili degli uffici legislativi dei ministeri. Teoricamente per “preparare” la successiva discussione in Consiglio dei Ministri: molto spesso, in realtà, per cucinare tutto.

Quarto: le cabine di regia. Cioè strani gruppi e gruppetti di ministri chiamati a gestire materie o temi di interesse comune, di fatto esautorando gli altri.

Quinto: la gestione extraparlamentare delle crisi. Cioè (esattamente come accade adesso, da 73 giorni) il fatto che la procedura per la nascita di un governo non avvenga nell’alveo parlamentare, ma in trattative opache e non ufficiali dei partiti e dei loro leader, con tanto di avallo del Quirinale.

Ma, siccome all’ipocrisia non c’è fine, perfino quando il Consiglio dei Ministri si riunisce ufficialmente, può benissimo accadere che in pochi minuti si decidano questioni di enorme complessità, o che si autorizzino decreti o disegni di legge governativi particolarmente impegnativi. Come si spiega? E’ evidente che i ministri si limitano ad avallare in una mezz’ora ciò che altri (o solo parte di loro stessi) ha già deciso prima. Spesso la cosa è ancora più inquietante, perché viene rovesciata nelle modalità e nei tempi: accade quando un provvedimento è approvato ma con la formuletta “salvo intese”. Che vuol dire? Vuol dire che uno o più ministri – nei giorni successivi – correggeranno e riscriveranno tutto o buona parte del testo.

Morale. Con questi precedenti, prendersela con il documento di Lega e M5S fa ridere. Delle due l’una: o si sceglie (ma sempre e per tutti!) una rigorosa adesione alle regole, oppure si accettano quegli elementi di flessibilità che, in qualunque corpo collettivo, possono portare a snellire il lavoro, a predisporre bozze da sottoporre agli altri, a smussare angoli e difficoltà. L’unica cosa che fa ridere è crocifiggere gli altri per le stesse cose che pretendiamo di fare noi stessi.

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