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Pensioni, la questione decisiva: il modello Pinera

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Se si potessero ridurre le questioni politiche più diverse di questi anni ‘10 del nuovo secolo italiano ad un solo metro di confronto, rappresentato dalla trasversalità sociale di esse, il tema della riforma delle pensioni si rivelerebbe the single issue to rule them all.

I dubbi di sostenibilità del sistema per i giovani, la sua natura pay-as-to-go, il livello della pressione contributiva, la discussione sugli immigrati come contributori, la differenza di età per l’accesso tra donne e uomini, la reversibilità, i diritti acquisiti, la questione delle pensioni estere, coinvolgono la cittadinanza a più livelli, per ogni età, censo e stato.

La prima domanda politica rivolta dall’elettorato è di sicurezza, personale e sociale. Le forme di welfare, previdenza e assistenza pubbliche (com’è oggi) o private (perché si può) sono per questo in cima all’agenda dei partiti, che iniziano la campagna elettorale con annunci di spesa sulla sicurezza sociale: dall’anticipo delle pensioni (Csn) all’aumento delle minime (Cdx) fino al reddito minimo garantito (M5S), che non è diverso dalla pensione a diciotto anni.

Ma l’enorme quantità di denaro transitante nell’INPS grava oggi sia sul tasso di crescita del Pil, attraverso l’esoso ammontare di contributi imposto a lavoratori ed aziende come cuneo fiscale, sia sulla spesa per interessi passivi sul debito, la quale è largamente la proiezione dell’insicurezza sulla tenuta di questo sistema pensionistico.

Il problema specifico del sistema pensionistico italiano è il fatto che il suo modello a ripartizione, per sua natura, non accumula in anticipo risorse finanziarie ma crediti di natura fiscale potenzialmente inesistenti, perché genericamente riferiti al monte contribuzione di un insieme di lavoratori futuro ed ipotetico, soggetto ai problemi della robotizzazione d’impresa e dell’invecchiamento medio della popolazione.

Si aggiunge il fatto che l’economia italiana di oggi non sopporta più la pressione fiscal-contributiva e perde giovani italiani qualificati verso l’estero, importando invece manodopera di basso valore e problematico inserimento nella società civile (e dunque nell’economia emersa, che paga i contributi).

Data la natura del sistema, nei giudizi sui rating e nellevalutazioni degli investitori in Btp, il monte di trattamenti futuri ancora non erogati è quindi visto come un debito implicito delle amministrazioni pensionistiche potenzialmente destinato ad essere coperto dallo Stato, e determina interessi più alti nel lungo termine, oltreché la ritrosia dei partner europei a coprire il nostro debito con loro garanzie. In questo quadro desolante, sorprende l’assenza dal dibattito politico italiano della semplice nozione dell’esistenza di un sistema pensionistico molto differente e più moderno, fondato sul principio di capitalizzazione, che non ha lo stesso difetto strutturale.

Il sistema a capitalizzazione fu concepito dall’economista Josè Pinera, appartenente alla scuola di Chicago, e sperimentato per la prima volta nel suo paese, il Cile, da cui si diffuse poi in decine di altri, venendo riconosciuto sulla base dei rendimenti ottenuti come il più efficiente sistema pensionistico disponibile (per approfondimenti v. www.josepinera.org).

In estrema sintesi, anziché creare un monte di spese future certo a fronte di finanziamenti futuri incerti, il sistema a capitalizzazione rovescia il principio ed utilizza i contributi come un sistema bancario, per creare un monte di investimenti in imprese produttive capaci di produrre profitto, sostenendo in due tempi prima l’economia nazionale e poi, con i rendimenti cumulati, i trattamenti da erogare in futuro. Il tutto governato da una autorità di regolazione del mercato, posta a guardia dell’impiego alternativo delle contribuzioni svolto da Amministrazioni di Fondi Pensione (AFP) in libera concorrenza.

Dunque adottare il sistema a capitalizzazione andrebbe a risolvere il problema del debito implicito, ed al contempo a rilanciare il mercato del credito, che è oggi bloccato.

Tuttavia, invece che di questo, le forze politiche italiane variamente discutono solo di modifiche interne al sistema a ripartizione attuale, essenzialmente dividendosi tra chi vorrebbe tassare i trasferimenti ai pensionati con “alto reddito” retributivi (dove “alto” sarebbero 3.000 € / mese) per dare più agio ai pensionati di minor reddito, tradendo l’originale promessa dell’80% dell’ultimo stipendio (lib-lab); chi vorrebbe invece ricalcolare l’intero sistema sulla base dei contributi versati, tradendo tutti gli impegni presi dallo Stato in decenni (il Pres. INPS Boeri, e velatamente il PD); chi vorrebbe tenere tutto com’è, ed anzi concedere qualcosa in più a tutti sull’età di pensionamento (65 anni la CGIL, 18 anni il M5S) a spese della fiscalità generale con una patrimoniale ed infine chi, con senile candore, propone di alzare le pensioni minime senza indicare la copertura prevista (FI).

Di vero in tali proposte c’è probabilmente solo la pars destruens, perché la prossima legislatura avrà l’urgenza di reperire decine di miliardi di euro per azzerare il deficit entro il 2019, come imposto nuovo art. 81 Cost., e pertanto è facile immaginare che l’annunciata riforma pensionistica della prossima legislatura sarà semplicemente un combinato delle descritte modalità predatorie di copertura – il tradimento retroattivo degli accordi presi – con finalità intuibili ed esterne al sistema pensionistico: il gesto inglorioso di fare cassa attraverso il taglio delle pensioni, per non intestarsi l’aumento delle tasse o il taglio degli stipendi pubblici, cercando di colpire la categoria meno ostica politicamente, che non può scioperare perché non lavora più, che non può manifestare violentemente data l’età, e che non voterà ancora molte altre volte.

L’unica alternativa valida a questo scenario sarebbe la decisione rivoluzionaria di una politica di previdenza nazionale che sia espressione di principi ideali, la quale sancisca anzitutto che pacta sunt servanda e che nessuna riforma pensionistica sarà mai più retroattiva, con una norma sul modello della 4a sezione del XIV emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti (The validity of the public debt of the United States, authorized by law, including debts incurred for payment of pensions (…) shall not be questioned), ed in secondo luogo affermi il principio della libertà di scegliere, riconoscendo ai giovani un diritto di opt-out dal sistema pensionistico pubblico verso i più efficienti fondi privati, con uno sconto contributivo, fermo il loro pieno diritto di non optare e restare nel pubblico, a condizioni invariate.

Solo questi due principi, neutralizzando le paure popolari dovute all’attività di riforma politica, potrebbero consentire, finalmente all’Italia di porsi su un sentiero di politica economica di sicurezza sociale efficiente, diverso dall’attuale gioco della coperta corta, e meno teso alla violenza sui principi fondamentali del vivere civile, tra cui la non retroattività delle leggi.