A un anno di distanza dalla pubblicazione di “Likecrazia”, Daniele Capezzone ci offre un nuovo saggio di grande interesse e di estrema attualità. Si tratta di “Per una nuova destra. Antitasse, pro libertà, dalla parte dei dimenticati della sinistra” (edizioni Piemme).
Già dal titolo si capisce che l’autore – il quale della destra si sente parte – adotta un approccio critico ritenendo che in Italia la destra stessa, pur vantando notevoli successi elettorali, non faccia abbastanza per dotarsi di un’identità ben definita, in grado di porre una seria ipoteca sulla futura possibilità di conquistare la guida del governo nazionale.
Le parole chiave del volume sono libertà e liberalismo, poiché è chiaro che, nell’ottica di Capezzone, la destra è liberale oppure non è. Purtroppo nel nostro Paese il liberalismo, a differenza di Stati Uniti e Regno Unito, non è mai stato veramente popolare. Le ragioni sono ben note e non mette conto ripeterle in questo contesto.
Mi soffermo allora su due dei partiti che oggi concorrono a formare lo schieramento di destra in Italia. A costo di far storcere il naso a qualche lettore, mi si consenta di dire che tanto la Lega quanto Fratelli d’Italia sono spesso attraversati da pulsioni illiberali che fanno a pugni con l’obiettivo di fondo prima enunciato.
Inoltre, come ha notato Alessandro Campi, contrapporre il popolo alle élite non conduce a niente, ed è davvero strano che nel Paese che ha dato i natali a Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto ci si rifiuti di considerare il ruolo prezioso delle élite nella conduzione del sistema politico. Chi adotta tali posizioni si rende complice delle sciocchezze grilline.
Il fatto è, e Capezzone lo nota con acutezza, che attualmente la destra sembra una somma numerica di partiti diversi tra loro, i quali spesso neppure trovano l’intesa su questioni minimali. Manca un programma comune, indispensabile per una coalizione che voglia governare il Paese.
L’autore inoltre insiste su una questione nota e assai importante. A differenza della sinistra, che ha assimilato e messo in pratica la lezione di Gramsci, la destra si è sempre preoccupata poco di conseguire il dominio dei mezzi di produzione culturale: stampa, giustizia, università e, adesso, i social media. Ne è conseguita l’incapacità della destra di competere con gli avversari sul terreno della cultura, che è invece fondamentale.
Capezzone ritiene giustamente che occorra scegliere come riferimenti ideali i maestri del liberalismo classico come Adam Smith, Jeremy Bentham, John Locke e John Stuart Mill, insistendo sull’importanza dell’individuo e del libero mercato. Senza scordare Hayek e Mises, attualizzati e non usati meramente come “santini” da venerare.
Altro punto chiave è il presidenzialismo. Sul modello di Washington e Parigi, è utile scegliere un presidente eletto direttamente dal popolo, nonché una forma di stato e di governo forti, ovviamente con adeguati bilanciamenti. Dovrebbe quindi essere abbandonata ogni suggestione per il proporzionale.
Fondamentale è, comunque, un programma comune basato su idee chiare, tali da convincere l’elettorato che vale la pena di votare i partiti coalizzati che lo propongono. Tutto questo oggi non c’è e, al contrario, le tre formazioni politiche – forse perché troppo diverse – vanno ognuna per conto proprio. Il risultato è che gli avversari vincono pure quando sono in difficoltà, anche grazie al già citato dominio esercitato sui mezzi di comunicazione, e alla prevalenza negli ambienti culturali. Ecco perché Capezzone parla di “nuova destra”, pur cosciente delle grandi difficoltà che la sua costruzione comporta. Un libro onesto, il suo, scritto in modo brillante e senza inutili astruserie.