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“Per una nuova destra”, semina liberale in un panorama dominato da statalismi e sinistrismi

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L’ultimo libro di Daniele Capezzone, “Per una nuova Destra”, è una boccata d’aria fresca liberale in un panorama editoriale, quello italiano, altrimenti dominato da reminiscenze “ulivesche”, statalismi e sinistrismi liberal d’importazione. Un saggio scritto con evidente passione politica e punteggiato qua e là da quel senso dell’umorismo che gli ammiratori di Capezzone ben conoscono (e apprezzano).

Vorrei qui lanciare uno sguardo su quello che, a mio giudizio, è il consiglio più “urgente” che l’autore rivolge alle attuali forze del centrodestra: quello di non farsi mettere all’angolo nel dibattito pubblico, di scegliere lo schema di gioco senza subire quello imposto dai canoni politicamente corretti della sinistra. Insomma, Capezzone suggerisce di ridefinire l’agenda e gli standard del discorso pubblico, cercando di influenzare il mindset diffuso in senso liberale.

Sembra evocare, gramscianamente, un mix di guerra di manovra e di guerra di trincea, che includa anche la promozione di un linguaggio alternativo a quello imposto dalla lingua di legno politicamente corretta. Insomma, ai partiti di destra spetta il compito di riappropriarsi dell’agenda politica, portando sotto i riflettori temi liberal-libertari classici, eppur così poco presenti nel dibattito italiano, quali la riduzione massiccia delle tasse sui produttori (imprenditori e lavoratori del privato), una difesa cristallina e a 360 gradi della libertà individuale.

Ma poi c’è anche la necessaria battaglia culturale, e qui le cose si complicano. Capezzone giustamente ritiene che l’obiettivo principale debba essere quello di far diventare la visione e le proposte liberal-libertarie, pop. Purtroppo, decenni di cultura statalista impartita fin dai banchi di scuola ci fanno temere che il terreno non sia affatto fertile, non a breve termine perlomeno. In questo senso, l’assidua attività culturale del Capezzone scrittore, polemista, animatore di spazi liberali e opinionista tv è assai meritoria in quanto, appunto, “semina” il campo.

C’è un evidente limite nelle possibilità di sfondamento del pensiero liberal-libertario in Italia, dunque, limite che magari in un periodo più lungo potrà essere colmato ma che oggi risulta determinante rispetto al colore dei prossimi governi (se mai ci lasceranno votare). La dico in termini semplici: il pensiero liberal-libertario non vanta in Italia esempi e campioni tali da poter creare una “mistica” da proporre all’elettorato. Diciamo che può essere considerato la parte razionale e analitica di una proposta politica a cui non può, non ancora almeno, dare anche il sacro fuoco.

Ed è qui che si inserisce, a parere di chi scrive, la necessità di aggiungere una visione del “bene comune”, come suggerito da Michael Knowles. Una larga parte della comunità politica di centrodestra vorrà sentirsi proporre una visione alternativa, non statalista, del bene comune e della comunità, perché le persone cercano anche appartenenze e legami emotivi oltre alla libertà. È assolutamente essenziale non perdere una goccia di libertà nell’elaborazione di un’idea alternativa del bene comune, ma questa idea alternativa la si deve formulare e la si deve far volare sulle ali della passione civica.

Pensare ai contenuti da dare a queste idee alternative di comunità e bene comune (non legate allo stato), senza rivolgersi allo spirito nazionalista è la grande sfida. Negli Stati Uniti hanno grandi esempi libertari che possono riempire i cuori di passione politica. Qui, inevitabilmente, mancano. E allora bisogna lavorare col materiale che si ha a disposizione, ripartendo forse dalla cultura popolare, dalle abitudini di tutti i giorni, per definire un’idea accattivante e in cui tanti si possano e si vogliano riconoscere.

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