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Perché il centrodestra sbaglia a dividersi sulla riforma Bonafede

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Due tentativi in due giorni di Fratelli d’Italia, alla Camera dei Deputati, per superare la riforma Bonafede sulla prescrizione non hanno avuto esito positivo. Nemmeno un ordine del giorno è passato, anche a causa dell’astensione degli alleati di centrodestra che sostengono il governo Draghi, Forza Italia e Lega, che si sono limitati a sostenere l’odg di maggioranza sponsorizzato dal ministro Cartabia (che di fatto rinvia il problema).

La spaccatura del centrodestra su un tema così delicato come quello della prescrizione – che con la riforma viene di fatto cancellata dopo il primo grado – mette in luce un vuoto nell’offerta politica della coalizione: l’assenza di un’area di matrice liberale e libertaria, capace di intransigenza quando si tratta di rimettere al centro l’individuo e di tutelare le libertà fondamentali, il che significa necessariamente ribadire alcune garanzie difensive: è l’accusa che deve dimostrare, in tempi definiti e prevedibili, le prove della colpevolezza, non l’imputato la propria innocenza.

Ci sono almeno due ragioni, una di diritto ed una politica, per cui Lega e Forza Italia avrebbero dovuto sostenere la posizione garantista di Fratelli d’Italia contro la riforma Bonafede.

Quella di diritto: la cancellazione della prescrizione dopo il primo grado si pone in contrasto con l’art. 111 della Costituzione, che impone la ragionevole durata del processo. La macchina processuale italiana è una delle più arretrate in Europa, seconda solo alla Bosnia Erzegovina. La durata media di un processo italiano è di 2.655 giorni – circa sette anni e mezzo – di cui 527 per il primo grado, 863 per l’appello e 1.265 per la Cassazione. 

La riforma Bonafede non accorcerà i tempi dei processi, proprio perché, prima della sentenza di primo grado, più del 70 per cento delle prescrizioni risultano essere già maturate, in particolare oltre il 60 per cento prima della sentenza dell’udienza preliminare. 

Al contrario, con la cancellazione potrebbe verificarsi l’effetto opposto: la durata infinita del processo, con il rischio di tenere sotto accusa l’imputato senza che arrivi mai una sentenza definitiva. 

La seconda ragione è prettamente politica. Ormai da molti anni, nel nostro Paese, si respira un’aria di giustizialismo che ha influenzato opinione pubblica, giornali e partiti politici. Lo stesso Movimento 5 Stelle, al grido di “Onestà! Onestà!”, ne ha fatto una vera e propria bandiera. Una battaglia demagogica, ma che ha aperto ai pentastellati le porte dei palazzi del potere. 

Al giustizialismo fondato sulla presunzione di colpevolezza, è necessario contrapporre un sano garantismo pragmatico, in cui l’onere della prova ricada sull’accusa e non sulla difesa, in cui la responsabilità penale sia sempre personale, in cui l’imputato sia ritenuto innocente, e trattato come tale, fino a prova contraria ed oltre ogni ragionevole dubbio.

Fratelli d’Italia sembra essere sulla giusta strada. L’auspicio è che Lega e Forza Italia possano unirsi presto a Giorgia Meloni contro la riforma Bonafede, senza farsi condizionare dalla propria presenza nel governo Draghi almeno quando è in gioco il principio del garantismo.

C’è ancora tempo – fino al 29 marzo – per intervenire sulla riforma del processo penale e della prescrizione.