La Vandea populista, già scossa dalla guerra di successione tra l’Elevato Beppe Grillo e Capitan Futuro Giuseppe Conte, ha scavato la trincea dell’ultima resistenza. Nella riforma Cartabia, il Movimento 5 Stelle vede la cancellazione delle politiche giudiziarie di Alfonso Bonafede e una condanna alla damnatio memoriae. E infatti, dopo l’incontro “chiarificatore” con il premier Mario Draghi, l’avvocato di Volturara Appula ha dichiarato di aver ribadito “che il Movimento 5 Stelle sarà molto vigile per scongiurare che non si creino soglie di impunità. Su questo, nell’ambito del dibattito parlamentare, il Movimento sarà molto attento per miglioramenti ed interventi che possano scongiurarne il rischio”. La linea dunque è l’opposizione senza quartiere alla modifica delle norme sulla prescrizione.
Lo scontro sulla riforma della giustizia è in parte strategia e in parte tattica. Conte approfitta della coincidentia temporis tra la discussione parlamentare sul Ddl Cartabia e il semestre bianco per tentare di destabilizzare il governo Draghi senza spaccare il gruppo grillino, ostile alle elezioni anticipate usque ad mortem. Mentre gli alleati della stampa giustizialista agguantano l’occasione di innalzare l’ultimo vessillo identitario (il reddito di cittadinanza è in territorio zombie: morto ma ancora deambulante) del grillismo, necessario alla costruzione della società giacobina forca e manette.
La resistenza alla riforma Cartabia, tuttavia, è anche la prova di un fallimento di sistema, non solo politico. A partire da un evidente fallimento del sistema scolastico ed educativo. La formazione degli avvocati comprende lo studio di Cesare Beccaria, Norberto Bobbio e Piero Calamandrei e i giornalisti usciti dal liceo classico hanno letto (o dovrebbe aver letto) “La società aperta” di Karl Popper. Poi, incomprensibilmente, nel dibattito pubblico, l’avvocato del popolo inneggia alla giustizia assembleare e il direttore del foglio corrivo si compiace dei suicidi carcerari e della brutalità dell’amministrazione penitenziaria.
L’accusa di restaurazione è un ballon d’essai. La prescrizione del reato e il limite alla durata dell’azione penale esistono dai tempi della Lex Julia del 18 a.C. e sono stati codificati nella forma attuale già in epoca illuministica col Code Pénal del 1791. Tali istituti furono inseriti persino nel codice penale fascista del 1930. Persino il regime fascista comprese la necessità di trovare un punto di equilibrio tra la pretesa punitiva dello Stato e l’effettività del pericolo sociale causato dal reato. La prescrizione pertanto è una garanzia indefettibile per una società democratica e per lo Stato di diritto, ed interpreta, dandone attuazione, i capisaldi della Costituzione repubblicana.
Il sistema penale persegue la giustizia non la vendetta. Ad una barbarie (la commissione di un reato), lo Stato di diritto non risponde con un’altra barbarie (il processo infinito). Ed è precisamente questa la ragione per la quale anche davanti ai crimini di maggiore pericolosità sociale, come la mafia e il terrorismo, lo Stato non appronta gli squadroni della morte, ma celebra i processi. In democrazia, il principio di legalità prevale sul principio di retribuzione. Ma la prescrizione è anche un meccanismo di controllo democratico sull’esercizio dell’azione penale. Attraverso il limite temporale, l’ordinamento giuridico introduce un incentivo all’efficienza e all’economicità della giustizia, per evitare da un lato la bancarotta dell’imputato e dall’altro l’allocazione inefficiente del denaro pubblico in processi temerari. L’efficienza e l’economicità sono qualità necessarie alla democrazia costituzionale, ma del tutto oblique al pensiero giacobino.