Dopo il supposto tentativo di golpe avvenuto in Turchia nel 2016, sottolineiamo supposto perché tanti sono gli indizi che portano a pensare che possa essersi trattato di una operazione di “false flag”, le relazioni militari tra Ankara e Teheran sono drammaticamente cresciute.
Secondo quanto emerso in un articolo d’inchiesta pubblicato dal sito Nordic Monitor, prima del supposto golpe in Turchia i vertici militari turchi avevano sempre tenuto a debita distanza quelli iraniani. Nel maggio del 2016, per esempio, dall’ambasciata iraniana ad Ankara era arrivata una richiesta di incontro per l’attaché militare iraniano ad Ankara con l’allora capo di Stato Maggiore turco Hulusi Akar. La richiesta venne gestita dal Dipartimento Pianificazione, comandanto all’epoca dal generale Salih Ulusoy. Il generale Ulusoy declinò la richiesta, sostenendo che l’ambasciatore turco a Teheran non era stato ricevuto dal capo di Stato Maggiore iraniano. Peccato che, sempre secondo l’articolo, la richiesta da parte dell’ambasciatore turco a Teheran non era mai arrivata…
Dopo il supposto golpe in Turchia, il generale Salih Ulusoy è stato tra coloro che il regime di Erdogan ha arrestato, accusandolo di terrorismo. Da quel momento, tutti gli attaché militari turchi nei Paesi della Nato sono stati sostituiti da comandanti ideologicamente islamisti e le relazioni tra Iran e Turchia si sono enormemente rafforzate.
Per la prima volta dal 1979, infatti, il capo di Stato Maggiore iraniano Bagheri (un Pasdaran) è stato accolto ad Ankara, per una visita di massimo livello durata tre giorni, in cui non solo ha incontrato il suo omologo generale Akar – questa volta senza nessuno che si opponesse all’incontro – ma anche lo stesso presidente Erdogan. Due mesi dopo, è stato il generale Akar a visitare Teheran per incontrare Bagheri e parlare di questioni regionali, quali il Kurdistan iracheno. Nel gennaio 2019, quindi, Bagheri ha nuovamente visitato la Turchia, per parlare di Siria e Iraq.
Va sottolineato che sempre dalla Turchia arrivano pesanti indiscrezioni sulle relazioni tra il generale Akar e il capo dell’Intelligence turca Hakan Fidan, da sempre considerato vicino all’Iran. Per alcuni, proprio Fidan e Akar avrebbero creato ad arte il pretesto per permettere ad Erdogan di denunciare il golpe e far fuori buona parte dell’establishment politico e militare non fedele all’AKP.
A tal proposito, va sottolineato che tra gli stati arrestati in Turchia con l’accusa di essere golpisti, ci sono anche i magistrati che, dal 2010, stavano investigando sui rapporti della Forza Quds iraniana con l’establishment del presidente Erdogan. Una inchiesta che proprio Erdogan ha bloccato nel 2014 e che mette in luce come le relazioni tra islamismi politici trascendono le divisioni tra sunniti e sciiti.
L’asse politico e militare tra Turchia e Iran, che si allunga all’altro attore islamista per eccellenza, il Qatar, non può non impensierire anche il governo italiano, considerato il possibile prossimo coinvolgimento dei militari turchi in Libia al fianco di al Serraj e le divisioni tra Roma e Ankara sulla questione del gas nella acque territoriali di Cipro. È chiaro che senza una strategia alternativa l’Italia rischia di essere schiacciata da Erdogan, capace oggi di minacciare l’Europa mediterranea nel settore energetico, nel settore delle migrazioni e con il ritorno dei foreign fighters.
Quanto ancora l’Italia, e la Nato, potranno accettare passivamente tutte queste minacce da parte di Erdogan e dei suoi alleati islamisti?