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Ecco perché Matteo Renzi ha fallito: non ha capito che il Paese è malato di troppo stato

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Qualcuno dovrà pur spiegare a Renzi e a quel che resta del Pd perché hanno perso. Perché, a giudicare dalla voce quasi unanime dell’intellighenzia di sinistra, che va da Scalfari a Cacciari, passando per Pif, la causa della sconfitta è solo e semplicemente la lontananza dalla “gente”, dalle vecchie idee della sinistra e la mancanza di capacità di comunicare simpatia. Tutti costoro, puntualmente, suggeriscono al Partito di sbarazzarsi di Renzi e di fare un’alleanza con il M5S, se non proprio partecipando al suo governo, almeno appoggiandolo dall’esterno, con una fiducia attiva o semplicemente con l’astensione (come propone Cacciari).

Ma siamo veramente sicuri che il problema del Pd sia stato e sia tuttora quello di non essere abbastanza di sinistra? Di non saper comunicare simpatia alla gente? Certamente gli errori di comunicazione sono stati molti. Talmente tanti che, specie nelle ultime settimane di campagna elettorale pareva proprio che il Pd stesse facendo di tutto per perdere elettori. Ma se la formula del successo fosse semplicemente quella di “dire qualcosa di sinistra”, a quest’ora assisteremmo a un successo spettacolare di LeU, che raccoglie la sinistra più a sinistra del Pd. Invece è un partito entrato in parlamento per il rotto della cuffia.

Forse la diagnosi è un’altra: il Pd ha perso, non perché non ha saputo comunicare con la gente di sinistra, ma semmai perché non ha ottenuto risultati buoni. Perché in Italia non c’è crescita. Cresciamo meno della media dell’Eurozona. E questo nonostante la martellante campagna stampa sulla “ripresa”, un qualcosa che abbiamo già sentito ai tempi del governo Monti e a cui nessuno, in cuor suo, crede più. Il Pd non ha ottenuto buoni risultati perché, nell’analizzare i mali dell’Italia, Renzi e i suoi successori hanno sbagliato diagnosi. E nello sbagliare diagnosi, hanno anche sbagliato cura.

Renzi era convinto che in Italia il problema non fosse lo Stato, ma semmai la sua debolezza. Quindi ha cercato di far passare una riforma costituzionale di stampo napoleonico in cui un solo uomo, a capo di un solo partito, è al comando di uno Stato centralizzato. Questa, in soldoni, era l’idea di fondo che ha condizionato, non solo la fallita riforma costituzionale, ma anche tutta la politica del governo Renzi. Non ha capito, probabilmente, che l’Italia sta morendo per un eccessivo peso dello Stato. Perché le energie dei privati sono schiacciate dallo Stato. Perché le autonomie locali, assoggettate al governo centrale, non possono essere responsabilizzate, proprio perché non sono realmente autonome. Renzi ha cercato in tutti i modi di rendere efficiente quella stessa macchina, lo Stato dirigista e centralista, che sta stritolando la nostra economia. Ed è ovvio che i buoni risultati non si siano visti.

E cosa avrebbe prodotto questa riforma, se fosse passata? Oggi lo possiamo dire con serenità: il potere assoluto del M5S. Perché il riformatore Renzi, prima introducendo la legge elettorale Italicum (premio alla lista che ottiene la maggioranza), poi mirando all’eliminazione del Senato, dunque di ogni possibile camera di compensazione, poi eliminando addirittura ogni potere residuo delle Regioni, avrebbe centralizzato tutto il potere nelle mani del vincitore. Cioè di Luigi Di Maio. Si può solo constatare che, prima gli elettori che hanno bocciato la riforma nel referendum, poi i magistrati costituzionali che hanno bocciato l’Italicum, abbiano salvato Renzi da se stesso.

Oltre alla riforma costituzionale (fallita), di Renzi ricorderemo pochissimo a parte una non memorabile riforma del lavoro (Jobs Act), un’infornata di nuovi insegnanti pubblici (chiamata “Buona Scuola”), una mancia di 80 euro in busta paga e un canone da pagare in bolletta. E tante accuse di diffondere “fake news” per chiunque non fosse d’accordo con lui. Ora, tuttavia, dobbiamo solo sperare che Matteo Renzi dimostri ancora una volta il suo attaccamento al potere e la sua grande capacità di rinnegare le sue promesse (“se perdo me ne vado”?). Che non si dimetta o si dimetta il più tardi possibile dalla guida del Pd. Perché se lui voleva un modello napoleonico per l’Italia, gli altri vorrebbero quello venezuelano e sono già pronti a far combutta con Di Maio, la versione mediterranea di Maduro.