La crisi siriana sta facendo parlare di sé in questi giorni, per la nuova offensiva del regime di Assad contro l’area di Idlib. Offensiva scatenata più per motivi interni – spostare l’attenzione dalla drammatica carenza di carburante nel Paese (frutto delle sanzioni americane contro l’Iran) – che per le reali possibilità di Damasco di ottenere un successo importante.
Ad ogni modo, mentre qua e là si parla di Idlib, pochi stanno ponendo attenzione all’aumento della tensione tra Russia e Iran, teoricamente alleati, proprio sul versante siriano. Solamente la scorsa settimana, la polizia militare russa ha compiuto un raid contro una milizia finanziata dall’Iran, che stazionava nell’area di Aleppo. In quella occasione, una serie di comandanti legati ai Pasdaran sono stati arrestati.
Come suddetto, Teheran e Mosca sono stati sinora alleati nel conflitto siriano. Tutto procedeva quasi regolarmente, almeno fino a quando il conflitto era ad alta intensità e l’obiettivo era quello di riuscire a tenere in sella Bashar al Assad. Sino a quel momento, l’unico vero motivo di scontro politico tra Iran e Russia era Israele, nel senso che Mosca intendeva garantire la sicurezza dello Stato ebraico, mentre l’Iran puntava (e punta ancora) a piantare Hezbollah nel Golan siriano, ai confini con Israele. Un piano che sta fallendo, non solo per la contrarietà russa, ma anche e soprattutto per i raid israeliani contro i convogli armati che girano in quella zona. Le tensioni tra Iran e Russia però, stanno oggi aumentando e su un paio di temi diversi che fanno capo ad un unico argomento: il controllo futuro della Siria. Iran e Russia, al contrario dei Paesi arabi sunniti, non sono realmente Stati ricchi, ovvero non hanno un Pil che gli permette di poter mantenere costantemente i loro militari e le varie milizie in Siria, sborsando solamente denaro. Nel medio termine, quindi, la Siria deve diventare per loro non solo un interesse geopolitico, ma un ritorno economico.
Dal punto di vista geopolitico, Mosca non ha gradito la scelta di Assad di dare agli iraniani la gestione di parte del porto di Latakia. Una scelta che indispone molto Putin, che in quella zona non solo è presente con i suoi militari a Latakia, ma soprattutto a Tartus. Per il presidente russo, sinora, non era concepita l’idea che quel mare, raro accesso ad un mare caldo per i russi, fosse appannaggio di un’altra forza militare straniera. L’accordo su Latakia arriva dopo che gli iraniani hanno provato ad avere concessioni di 1000 ettari a Tartus e anche di 5000 ettari nell’area dell’aeroporto internazionale di Damasco. Entrambe richieste bloccate dai russi. A Latakia gli iraniani avranno a disposizione l’uso di 23 magazzini, ufficialmente per mere ragioni commerciali, ma ovviamente nessuno può escludere che in seguito non verranno usate per stoccare materiale bellico. Dal punto di vista economico, in ballo c’è la ricostruzione della Siria, ovvero i contratti che Damasco firmerà con le compagnie straniere per provare a rimettere in piedi il Paese dopo anni di conflitto. In questo senso, gli interessi russi e iraniani sono concorrenziali. Peggio, Mosca non sarebbe neanche contraria all’idea di inserire nella partita i Paesi arabi sunniti, sinora nemici di Assad. Per Putin, il dialogo con l’asse saudita è fondamentale, non solo per la vendita di armi, ma anche per contenere il radicalismo islamico presente in alcune regioni della Russia.
Lo scontro tra Mosca e Teheran è anche politico, ovvero legato alle fazioni al potere in Siria. La Russia sta facendo di tutto per diminuire il potere di Maher al Assad, fratello di Bashar e comandante della IV Divisione corazzata. Maher al Assad non è solo un potente comandante militare, ma anche capo di un impero finanziario che, dalle milizie filo-Teheran sul terreno, arriva fino in Iran. Non è un caso che da quando nel gennaio 2018 il generale Ali Ayyoub è stato nominato ministro della difesa, i russi stanno spingendo per una riorganizzazione della struttura militare siriana, costringendo ad esempio l’intelligence delle forze aeree ad interrompere il contratto con oltre 6500 membri di milizie armate, dissolvendo i “Baath Commandos” e la milizia di “Difesa Nazionale” (i cui comandanti di Deir ez-Zor sono stati arrestati…). Non solo: gli agenti dell’intelligence dell’aviazione militare hanno arrestato quattro ufficiali della IV Divisione Corazzata e della Guardia Repubblicana, accusandoli di corruzione e nepotismo. Di contro, Maher al Assad ha provato lo scorso febbraio a costruire un centro di produzione missilistica in coordinamento con l’Iran, che è stato distrutto dai bombardamenti israeliani. Secondo quanto si vocifera, l’obiettivo di Maher al Assad era rifornire Hezbollah di missili Fateh-110 e Golan-1000.
La stessa visita di Bashar al Assad a Teheran, il 25 febbraio scorso, non sarebbe stato un atto di sottomissione all’Iran, ma un tentativo estremo di placare le tensioni in corso. Di contro, Teheran avrebbe reclamato con Assad e preteso che i contratti per la ricostruzione della Siria fossero spartiti adeguatamente tra Iran e Russia. Come noto, da quel famoso incontro a cui partecipò anche Qassem Soleimani venne escluso il ministro degli esteri Zarif (che presentò delle dimissioni fake). Insomma, la tensione cresce e rischia di avere un effetto diretto anche sull’Europa: gli scontri ad Idlib, la crisi interna di Erdogan e le tensioni tra Iran e Russia, possono assolutamente riportare la Siria nel caos, con tutto quello che ne consegue relativamente all’emergenza profughi. E stavolta, sicuramente, Erdogan chiederà un prezzo più alto per fermare i migranti.