“Catch 22” (“Comma 22”), il romanzo satirico di Joseph Heller, è uno di quei libri che non invecchia mai; certamente non invecchia nella sua rappresentazione delle contraddizioni e dei cortocircuiti in cui alla fine, senza nemmeno accorgersene, ma provocando danni inenarrabili, può andare a cacciarsi un’ideologia.
Un “comma 22” è la situazione di stallo in cui l’unico modo possibile per uscire da un problema passa da una soluzione che è essa stessa negata da una circostanza intrinseca del problema.
Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni sul “caso Astrazeneca”, con la sospensione decisa dall’Aifa e da altre agenzie europee, gli assomiglia molto. La sintesi spicciola è che è troppo pericoloso “tornare a vivere” senza il vaccino, ma allo stesso tempo non ci si può vaccinare perché è… troppo pericoloso.
La decisione delle agenzie del farmaco segue un’accresciuta preoccupazione nella popolazione, in conseguenza della diffusione di alcune notizie su una possibile correlazione tra alcuni decessi e il vaccino della casa britannico-svedese.
Molti “addetti ai lavori”, nei giorni precedenti, avevano manifestato persino un certo scandalo nei confronti della reazione spaventata di varie persone a possibili eventi avversi legati all’assunzione del vaccino – attribuendo questo atteggiamento in gran parte a ignoranza, ingenuità e teorie variamente “complottiste”.
In realtà, lo scetticismo di molti nei confronti dei vaccini anti-Covid non va ascritto a fenomeni ideologici “fringe” come i “no-vax”, quanto piuttosto all’abuso che in questi ultimi anni proprio la cultura e la politica mainstream hanno fatto del “principio di precauzione”, ergendolo a linea guida in un numero sempre maggiore di campi, fino al punto di giustificare, in nome di un’avversione di principio al rischio, scelte di policy inefficienti, se non in qualche caso apertamente irrazionali.
In fondo è il modello culturale che ha portato ad affrontare l’emergenza coronavirus secondo l’ideologia dell’”azzeramento” del rischio e del primato “assoluto” della vita e della salute. Se anche una sola morte di Covid è “di troppo”, allora va da sé che nessun prezzo da pagare per evitarla può essere troppo alto – e va da sé che chiunque si ponga in un’ottica diversa e voglia basare le decisioni pubbliche anche su altri fattori deve essere squalificato moralmente e antropologicamente prima ancora che confutato nel merito.
Quanti oggi sono sorpresi delle resistenze di molti cittadini di fronte alla vaccinazione ritengono questo esito “in opposizione” rispetto al “lavoro” che è stato svolto con zelo nell’ultimo anno per creare il “giusto livello di paura” della pandemia.
In realtà, la “fobia dei vaccini” non è l’opposto dalla “fobia del Covid”, ma si fonda in larghissima parte sulla medesima e sempre più prevalente ideologia del “rischio zero”. Si fonda cioè sul concetto che sia possibile “espungere” il rischio dalle nostre vite e che, in nome di questo obiettivo, qualsiasi tipo di sacrificio e di rinuncia sia non solo accettabile, ma anche massimamente morale.
Così come ogni singolo morto di/con Covid diventa un peso insostenibile per la moderna coscienza e rende eticamente giustificati i confinamenti più drastici, allo stesso modo ogni singolo morto di/con vaccino ci obbliga, a prescindere, anche in questo caso, a mettere in atto risposte “severe”. In un caso come nell’altro, costi quel che costi.
Ma il rischio è una componente inscindibile dell’esistenza umana. Non può mai essere annullato, ma solo mitigato e, quasi sempre, la scelta che si pone non è tra il rischio e l’assenza di rischio, ma tra due rischi di tipo diverso.
A dispetto di quello che ci vogliono far credere le tante declinazioni della “politica della paura” e della “cultura della paura”, con il rischio dobbiamo imparare a convivere. Questo richiede, in ogni campo, che la possibilità di “eventi avversi” (che sia una reazione a vaccino, una morte per Covid o magari un incidente nucleare) venga effettivamente valutata nella sua probabilità reale e non sulla base di riflessi emotivi. E richiede anche che si comprenda come non esistono valori che di per sé sono “assoluti” – al punto che per essi si debba rinunciare automaticamente a tutto il resto. Nemmeno “la salute”; nemmeno “la sicurezza”; nemmeno “la vita” in sé. Tali valori si contemperano e si bilanciano con molti altri – tra cui la libertà, la prosperità economica, l’elevazione culturale e spirituale, l’espressione della propria personalità, persino, perché no, il divertimento – per determinare, in termini complessivi, la qualità e lo stesso senso dell’esistenza umana.
Se pretendiamo rischio zero di non morire di Covid e rischio zero di non morire di vaccino, l’unica soluzione è blindarci indefinitamente in casa – soluzione che potrebbe, peraltro, portare anche altre esternalità positive, come il rischio zero di affogare al mare o di morire in un incidente stradale.
Se invece vogliamo ricominciare a vivere degnamente, è necessario essere pronti a compiere una riflessione matura e razionale dei rapporti tra benefici e rischi e tra benefici e costi tanto delle scelte individuali che di quelle di politiche pubblica – che si parli di vaccini, di lockdown o di altri argomenti che andavano di moda quando ancora si poteva uscire di casa, come l’ambiente. E per farlo serve la capacità di avere una visione globale delle complesse dinamiche della vita e della società e non limitata all’argomento che di volta in volta vince la gara delle emozioni.
Solo in questo modo sarà possibile spezzare le catene del “comma 22” che ci tiene prigionieri.