Pubblichiamo l’articolo scritto dal prof. Paolo Savona per il numero di Atlantico di gennaio 2018
Sarei tentato di rispondere che non spero in niente, perché il mio pessimismo sulla prossima legislatura è tale che raccomanderei caldamente i Partiti di non fare niente per non creare ulteriori danni, affidandosi alle forze spontanee del Paese alle quali, peraltro, dobbiamo quei piccoli segni di ripresa produttiva di cui invece il Governo si vanta d’aver ottenuto, nonostante dipendano da provvedimenti che producono risultati effimeri. Ovviamente gli organi competenti devono controllare senza vessare i comportamenti spontanei.
Reagisco, però, a questa tentazione rinunciataria e rispondo come se dovessi redigere un manifesto elettorale senza però chiedere il voto, invece di redigere una lista di aspettative da riporre nei comportamenti della prossima legislatura.
In Italia una politica economica attiva è preclusa dagli accordi europei. Se l’Unione europea non cambia registro, non possiamo cambiare le prospettive di crescita del nostro reddito e della nostra occupazione. Siamo un’economia aperta dentro un’economia chiusa. Lasciando momentaneamente da parte la soluzione dei grandi problemi europei – come il raggiungimento dell’indispensabile unione politica e il rispetto della democrazia – si dovrebbero propiziare le seguenti decisioni:
1. La prima congiunturale. Obbligare i paesi membri che hanno risparmi in eccesso (leggere un saldo positivo della bilancia estera di parte corrente) a spendere di più fino ad annullarlo. Tutti dovrebbero essere soggetti, distinguendo quelli che hanno parametri di bilancio pubblico prossimi a zero, da quelli che invece sono ai limiti od oltre il parametro di Maastricht del 3 per cento, come l’Italia. I primi possono farlo aumentando con gradualità il loro deficit di bilancio pubblico e i secondi superando la soglia stabilita, fino all’assorbimento di tutti i surplus di bilancia estera. Per rendere flessibile la spesa, l’iniziativa va condotta dal lato delle infrastrutture produttive e sociali una tantum, partendo dalle aree arretrate per ridurre le diseconomie esterne che creano dualismi nella produttività. Vanno quindi evitate le spese correnti… ricorrenti.
L’effetto sarebbe una crescita del Pil e dell’occupazione dell’Europa e nostra, con un conseguente miglioramento dei parametri fiscali di Maastricht e la trasformazione della Commissione europea da controllore dei vincoli, funzione invisa, ad attore dello sviluppo. Ciò recupererebbe consenso a un’Europa politicamente unita.
2. La seconda strutturale. Sistemare i debiti pubblici che superano la soglia di convergenza verso il 60 per cento stabilita a Maastricht creando presso la Bce un fondo di garanzia per gli eccessi, da utilizzare in presenza di un impegno di rimborso da parte del paese interessato dilazionato nel tempo, a tassi variabili pari a quelli ufficiali di volta in volta vigenti; questo impegno va garantito dai paesi richiedenti con l’indicazione di un volume adeguato di beni pubblici che verrebbero ceduti nel caso di inadempienza nei tempi di rimborso.
Gli effetti sarebbero molteplici: la scomparsa degli spread sui diversi titoli del debito pubblico con vantaggi immediati sugli stessi deficit dei bilanci pubblici; il raggiungimento di una stabilizzazione finanziaria generale per l’Ue; la scomparsa delle pressioni deflazionistiche nascenti dal tentativo di rispettare il parametro del debito.
3. La terza culturale di base. Creazione di una scuola europea di istruzione e formazione a ogni ordine e grado, con materie di studio comuni e un corso specifico per la storia di ciascun paese membro. Solo un’educazione comune può creare l’Europa unita.
Nell’attesa di siffatte decisioni, che in ogni caso deve chiedere, l’Italia può rimuovere taluni vincoli alla sua crescita:
4. Impegnandosi a non aumentare imposte e tasse per l’intera durata della nuova legislatura. È inutile promettere, come fanno quasi tutti i Partiti, di ridurre imposte e tasse, per poi affermare che siamo costretti ad aumentarle per rientrare nei parametri fiscali europei. Un siffatto impegno costringerebbe il nuovo Governo a operare per tagliare le rendite, ossia le spese che non hanno radici nella necessaria solidarietà sociale (come esoneri fiscali, incentivi ecc.), invece di aumentare i tributi. La stessa norma che fa scattare l’Iva se non rispettiamo gli accordi europei opera in direzione opposta allo sviluppo. Meglio sarebbe un impegno legislativo di ridurre le spese, non di aumentare le tasse. Il provvedimento richiesto implica il divieto di ridurre i tributi per alcuni, aumentandole agli altri. L’effetto sarebbe di rendere possibile la programmazione delle spese e dei risparmi/guadagni delle imprese e dei cittadini, non più costretti a inseguire continuamente modifiche legislative, non di rado confuse fin dalla loro emanazione.
5. Preparando un fondo di garanzia patrimoniale per il debito pubblico da attivare in caso di rifiuto della Bce ad attuare il provvedimento di cui al punto 2), destinato alle nuove emissioni che accettino tassi di mercato, rinunciando allo spread. Invierebbe un messaggio forte al mercato. L’effetto sarebbe permanente e ancor più positivo per l’intero stock del debito pubblico in essere se la Bce prendesse la decisione indicata al punto 2.
6. Passando dalla gestione cartacea a quella telematica per ogni e qualsiasi contatto del cittadino con la pubblica amministrazione (anche sanitaria), trasformando gli attuali uffici per la concessione di documenti cartacei in centri di assistenza e insegnamento gratuiti per chi non è capace di usare computer o telefoni cellulari nei rapporti con gli uffici pubblici. L’effetto sarebbe un netto guadagno nel nostro tasso di produttività perché eliminerebbe la gran parte del tempo improduttivo richiesto da queste operazioni che complicano l’attività delle imprese, soprattutto di quelle piccole, e dei lavoratori (ad esempio nei rapporti con le organizzazioni sanitarie).
7. Creando un’efficace organizzazione che svolga la funzione di difensore civico del cittadino dalle vessazioni della pubblica amministrazione e di giudice di pace per i conflitti tra loro, in particolare quelli nascenti dai rapporti condominiali ed ereditari, decidendo in tempo reale e in modo irreversibile. L’effetto sarebbe la liberazione di risorse della magistratura per accorciare i tempi decisionali e daresicurezza alle relazioni tra cittadini e Stato e cittadini tra loro, migliorando la produttività individuale e di sistema, oltre che la vivibilità quotidiana.
Se un Partito o una Coalizione promettesse di agire in tal senso in ambito europeo e promettesse di attuare quelle in ambito nazionale avrebbe il mio voto. Forse è chiedere troppo; se così fosse, mi basterebbe il solo impegno di cui al punto 4., una vera cartina tornasole della fondatezza del programma più generale. Spero che altri facciano lo stesso.