Leggo il fondo di Federico Punzi sui volonterosi pechinesi del regime cinese e sprofondo in una vertigine del tempo: ecco, ho ancora sedici anni, vado al liceo e sono circondato da imbecilli faziosi che si alimentano a slogan: la Cina è vicina, yankee go home, dal Sol Levante ogni virtù, anche se il padre celeste Mao sta mietendo milioni di connazionali, dall’America ogni miseria anche se questi miei compagni li trovo americanizzati fino al midollo. Ma che problema c’è? Basta un revisionismo miserabile, una lettura delirante di ogni fatto e tutto va a posto: i Lotta Continua hanno una risposta per tutto, terrorismo, crisi del petrolio, dei valori, dell’operaismo, del sesso, c’è chi, alle assemblee d’istituto, invita senza mezzi termini a “capire le ragione dei compagni delle Brigate Rosse”. Come quel mio compagno di classe, sempre molto cordiale, figlio della borghesia professionale meneghina che è la più facoltosa del mondo: un giorno vado a trovarlo in casa sua, incastonata nel centro di Milano, non è una casa, è una magione, un castello che guarda l’altro castello, lo Sforzesco, e mi apre la domestica in cresta e pettorina: “Il signorino sta riposando”, e invece regale appare lui, il mio compagno, spettinato dal sonno, pantaloni rossi informali, col suo solito fare affabile mi invita a entrare, mi conduce in visita per la magione, che dura mezz’ora. Resto scioccato dalla “sala discoteca”, che è davvero una discoteca, domestica ma totale, ci son dentro apparecchiature per tre milioni di roba, e siamo alla fine degli anni Settanta.
Oggi, all’inizio degli anni Venti, potrei fare suppergiù le stesse cronache e sono sicuro che al mio liceo Carducci girano suppergiù gli stessi slogan, le stesse riletture. Scorro il fondo di Punzi e ritrovo tutta la protervia, la spregiudicatezza dei bei tempi: agenzie di stampa in partnership con un’agenzia della galassia cinese, i dati che non tornano, questi prima ci hanno ammorbati, adesso vengono a darci la carità pelosa ma, soprattutto, non tollerano dissensi e critiche di sorta. Provate, come qualcuno ha fatto, a intervenire sul profilo Twitter dell’Ambasciata cinese: una levata di scudi minacciosa, nessuno si permetta, arrivano anche autentiche minacce, pensano, con tutta evidenza, che l’Italia non sia altro che una loro colonia, come Hong Kong ma meno ribelle, in tutto più docile. Non hanno torto: che tristezza, l’elogio della dittatura mascherato da democrazia, gratta il democratico liberal e trovi sempre il compagno autoritario. Leggo e fantastico: ma se questo maledetto virus fosse partito proprio dall’America, cosa direbbero adesso questi giornali di regime, doppio regime, sinoitaliano? Cosa i loro intellettuali pechinesi? Ma basta avvilupparsi in un complotto, basta ripetere la falsa verità della dittatura comunista, “il coronavirus è partito dall’America”. Tutto come quarant’anni fa.
L’altra menzogna oscena sta nell’asserito supporto dell’Unione europea. Sulle prodezze delle due politiche “in rosa”, i velociraptor Lagarde e la Von der Leyen, è superfluo soffermarsi oltre: dalle finte gaffe al falso sostegno morale, queste superburocratesse sono in grado solo di fare paura ed orrore. Ma c’è chi le difende e non solo tra gli eurozerbini di Palazzo Chigi: evidentemente certi commentatori hanno finito di svendere al mercato dell’usato quel che restava della propria coscienza. Ma come può una istituzione che non esiste fornire un qualsiasi supporto? Non è neppure una questione di cattiva volontà, è proprio una faccenda ontologica: l’Europa Unita non c’è, non è mai stata, ogni emergenza viene riscaricata, di risacca, ai singoli Paesi i quali si imitano nel perdere tempo, sottovalutando il pericolo, fino a che non si rendono conto di avere chiuso la quarantena a microbi scappati. È la prova che l’astrazione sovranazionale non c’è e se c’è serve solo a se stessa, che non è mai stata (e mai lo sarà: capito, Salvini?) in grado di sviluppare e di coordinare una azione comune per qualsivoglia situazione. Dicono che questa epidemia segni la fine del sovranismo, ma è una sentenza in attesa di spiegazioni; è più evidente il risultato opposto, il ritorno forzato al decisionismo dei singoli Paesi, stante la latitanza di qualsiasi propulsione globalista.
L’ultimo rigurgito conformista di stampo leninista è nel supporto al regime domestico. È dura, al limite dell’incredibile, riuscire a difendere Giuseppi e i suoi prodi dai loro stessi sfondoni, abissali, letali. Ma i Lotta Continua di oggi ci riescono e poi se la cantano e se la suonano da soli nei loro programmini della loro televisioncina. Spettacolo al limite del grottesco, ma la militanza ha le sua ragioni che la ragione non conosce e la decenza nemmeno. Con la non lieve differenza che i Lotta Continua vintage erano, almeno nominalmente, contro il regime, questi sono completamente spalmati sul regime, nel regime. Più pechinesi dei pechinesi, e questi sarebbero gli schiena dritta? Forse più rigida, per il colpo della strega.