L’analisi puntuale del regolamento sulle condizionalità a protezione del bilancio dell’Unione rivela che hanno ragione polacchi ed ungheresi ad opporsi ad un meccanismo punitivo e discrezionale, costruito su una interpretazione dei Trattati infondata, in mano a commissari che coltivano apertamente la propria partigianeria. E Roma ha torto marcio…
Il 5 novembre 2020, il Parlamento europeo e la Presidenza di turno tedesca hanno convenuto un “regolamento circa un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione”, inteso a tutela di una cosa incerta (detta ‘principio dello Stato di diritto’ e sulla quale ritorneremo), nonché di una cosa più certa (detta ‘principio della buona gestione finanziaria’). Il 16 novembre, è stato approvato dalla conferenza degli ambasciatori dei Paesi membri, a maggioranza qualificata. Mancando solo il voto del Parlamento europeo, dall’esito scontato, esso potrebbe entrare in vigore già il 1° gennaio 2021 (art. 8 Regolamento).
Il Regolamento è problematico per diverse ragioni.
(I) novativo. Contiene una definizione di “violazione dello Stato di diritto” (artt. 2a e 3), priva di riferimenti normativi nei Trattati, dunque bastante a se stessa, dunque auto-fondante. Come se fosse una modifica del Trattato. Il che è tanto più vero, in quanto priva di riferimenti normativi nei Trattati è pure la definizione di “Stato di diritto” (art. 2). Entrambe sono tanto auto-fondanti, da essere introdotte esplicitamente “ai fini dell’applicazione del presente regolamento”. Molto significativamente, il regolamento non contiene una definizione di ‘buona gestione finanziaria’, perché questa è assodata, all’opposto della precedente.
(II) due volte novativo. Introduce una procedura sanzionatoria (art. 5) e de-sanzionatoria (art. 6) sconosciuta ai Trattati. Di nuovo, come se fosse una modifica del Trattato. Il che è tanto più vero, in quanto i Trattati già conoscono procedure sanzionatorie di tutela, alle quali il Regolamento giunge a sovrapporsi: nel caso del ‘principio dello Stato di diritto’, si tratta della sospensione di “alcuni dei diritti derivanti allo Stato Membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio” (art. 7 Tfeu).
(III) discriminatorio. Prevede la interruzione/sospensione/correzione dell’insieme indistinto dei pagamenti allo Stato membro sotto accusa, in taluni casi persino il rimborso dei prestiti in essere. Questione della quale il Parlamento si rende conto, dal momento che prevede che lo Stato sanzionato resti obbligato a continuare i pagamenti dei programmi in cofinanziamento (“gestione concorrente”), nonostante la venuta meno della partecipazione dei fondi unionali; assegnando, anzi, alla Commissione l’incarico di informarne i beneficiari finali, incitandoli alla delazione contro lo Stato membro sotto accusa che non avesse puntualmente risposto ai propri obblighi nei loro confronti. Ma nulla il Parlamento riesce a fare per i programmi a “gestione diretta” ed a “gestione indiretta” (classificazione ex-art 62 – Regolamento Finanziario), i quali includono grandi capitoli di spesa, quali i pagamenti affidati alla Bei, al Fei, e via discorrendo. Ebbene, da tali pagamenti in gestione diretta ed indiretta, i beneficiari nello Stato membro sanzionato verrebbero esclusi, in via sostanziale configurandosi la citata e vietatissima ‘discriminazione effettuata in base alla nazionalità’ (art. 18 Tfue).
(IV) attivabile sul semplice sospetto. Si applica al “caso di violazione dei principi [sic] dello Stato di diritto negli Stati membri (art. 1)” ma, poi, tale “violazione dello Stato di diritto” viene definita in termini potenziali: qualcosa che “mette in pericolo l’indipendenza della magistratura” (art. 2a), quelle condotte che “incidono o seriamente rischiano di incidere” (art. 3.1).
(V) discrezionale. La definizione intera, “violazioni dei principi dello Stato di diritto in uno Stato membro che incidono o seriamente rischiano di incidere sulla sana gestione finanziaria del bilancio dell’Ue o sulla tutela degli interessi finanziari dell’Unione in modo sufficientemente diretto” (art. 3.1), lascia al decisore una doppia discrezionalità ed allo Stato membro una doppia incertezza. Poi, pure il rimedio: “le misure adottate devono essere proporzionate … si tiene debitamente conto della natura, della durata, della gravità e della portata delle violazioni dei principi dello Stato di diritto … per quanto possibile” (art. 4.3). Insomma, il Parlamento fa delle istituzioni unionali il Re Barbaro che giudica sotto la grande quercia … e decide quel che gli pare.
(VI) illimitato per ambito di applicazione. La definizione di “violazione dello Stato di diritto” continua (art. 2a), includendo: “mancare di prevenire, correggere e sanzionare decisioni arbitrarie o illegali da parte delle autorità pubbliche, comprese le autorità di contrasto” (cioè l’Italia potrebbe venire punita per il comportamento dei gabellieri del Porto di Genova), “trattenere risorse finanziarie e umane che pregiudicano il loro [delle autorità pubbliche, comprese le autorità di contrasto] corretto funzionamento” (cioè l’Italia potrebbe venire punita per non aver assunto abbastanza gabellieri al Porto di Genova), “non garantire l’assenza di conflitti di interessi” (cioè l’Italia avrebbe potuto venir punita per il governo Berlusconi), “limitare la disponibilità e l’efficacia dei rimedi legali, anche attraverso norme procedurali restrittive, la mancata esecuzione delle sentenze, o limitare l’effettiva indagine, azione penale o punizione delle violazioni della legge” (cioè l’Italia potrà venir punita se reintrodurrà la prescrizione).
E poi continua ancora (art. 3), includendo: il non “corretto funzionamento delle autorità di tale Stato membro che eseguono il bilancio dell’Unione” (cioè l’Italia potrebbe venire punita per la disorganizzazione della Regione Calabria), il non “corretto funzionamento delle autorità che effettuano il controllo finanziario, il monitoraggio e l’audit e il corretto funzionamento di sistemi di responsabilità e gestione finanziaria efficaci e trasparenti” (cioè l’Italia potrebbe venire punita per la pigrizia della Corte dei Conti), il non “corretto funzionamento dei servizi di indagine e del pubblico ministero in relazione alle indagini e al perseguimento di frodi, comprese le frodi fiscali, la corruzione o altre violazioni del diritto dell’Unione relative all’esecuzione del bilancio dell’Unione o alla tutela degli interessi finanziari di l’Unione” (cioè l’Italia potrebbe venire punita per non aver indagato tutti gli agricoltori), il non “effettivo controllo giurisdizionale da parte di tribunali indipendenti sulle azioni od omissioni delle autorità” predette (cioè l’Italia potrebbe venire punita per la pigrizia dei cancellieri di tribunale); la mancata “prevenzione e sanzione delle frodi, comprese le frodi fiscali, la corruzione o altre violazioni del diritto dell’Unione relative all’esecuzione del bilancio dell’Unione o alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione” (cioè l’Italia potrebbe venire punita per l’evasione Iva), la mancata “imposizione di sanzioni efficaci e dissuasive ai soggetti destinatari, da parte tribunali nazionali o delle autorità amministrative” (cioè l’Italia potrebbe venire punita per non aver alzato le multe), il mancato “recupero dei fondi indebitamente versati” (cioè l’Italia potrebbe venire punita per il fallimento delle proprie imprese), la mancata “cooperazione efficace e tempestiva” con l’Olaf e l’Eppo (cioè l’Italia potrebbe venire punita per dei conflitti di attribuzione), infine … udite, udite … “altre situazioni o comportamenti delle autorità degli Stati membri rilevanti per la sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione o per la tutela degli interessi finanziari dell’Unione” (cioè l’Italia potrebbe venire punita per ogni e ciascuna cosa venisse in mente alla Commissione europea pro tempore regnante: laqualunque).
Fanno ridere gli Uffici della Camera dei Deputati italiana, quando scrivono: “si tratta di uno strumento dalla portata circoscritta a fattispecie specifiche”.
(VII) invasivo per ambito dei poteri. Tutti i comportamenti testé elencati, al Parlamento interessano in quanto incidano “sulla sana gestione finanziaria del bilancio dell’Ue o sulla tutela degli interessi finanziari dell’Unione in un modo sufficientemente diretto”. Il che è come dire che, in una materia laqualunque (gabellieri-fondi ai gabellieri-Berlusconi-prescrizione-Regione Calabria-Corte dei Conti-agricoltori-cancellieri-evasione Iva-multe-imprese-conflitti di attribuzione), l’Italia dovrebbe soggiacere alla interpretazione (stravagante e mutevole) data dalla Commissione delle pure espressioni ‘stato di diritto’ e ‘buona gestione finanziaria’. E ciò nonostante che i Trattati non assegnino mai e nemmeno lontanamente un simile potere alla Ue. Innegabilmente, il Parlamento europeo legifera ‘ultra-vires’.
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Alla approvazione del regolamento, il 16 novembre 2020, si sono opposte Polonia ed Ungheria soltanto. Le quali, per ritorsione, hanno bloccato l’approvazione del bilancio pluriennale, nonché l’approvazione dell’innalzamento della soglia massima per poter imporre nuove tasse unionali: qui, i due Stati membri trovano le armi per difendersi, in quanto entrambi i provvedimenti debbono essere approvati all’unanimità.
Ha ragione il ministro della giustizia ungherese, la Judit Varga, quando commenta: “la base giuridica è infondata, il campo di applicazione è vasto, le misure sono arbitrarie e la procedura è priva di garanzie di alcun significato”? Ha ragione il ministro degli affari europei polacco, Konrad Szymański, quando parla di “mancanza di certezza legale”? Ha ragione il vice ministro degli esteri polacco Pawel Jablonski, quando scandisce: “‘rischio potenziale’ è qualcosa che potrebbe essere innescato letteralmente da qualsiasi cosa”? Ha ragione il di lei collega polacco, Zbigniew Ziobro, quando chiosa: “questa è una questione che determinerà se la Polonia è un soggetto sovrano nella comunità della Ue, o sarà resa schiava politicamente e istituzionalmente”? Sì, tutti loro hanno ragione, lo abbiamo appena visto.
Hanno essi ragione a denunciare che il nuovo meccanismo è contrario ai Trattati? Sì, basti citare il presidente del Parlamento, Sassoli: “Ci sono limiti giuridici che comprendiamo, ma non possiamo svilire i valori su cui si fonda l’Unione”.
Hanno essi ragione a temere che la Commissione agisca per fini di lotta politica? Sì, basti ricordare le indimenticabili parole pronunciate, nel 2018, dall’indimenticato Commissario Moscovici, ex-multis: “io sono un Commissario europeo socialdemocratico”. “Spero che il Partito Democratico si ricostituisca e che rinasce in Italia una forza democratica e filoeuropea credibile” – “Combatto Matteo Salvini, l’uomo dell’estrema-destra, l’amico di Marine Le Pen, il populista, il ministro anti-migranti” “siamo di fronte a un’estrema destra che … ha certe caratteristiche del fascismo, e contro la quale lo spirito di resistenza è troppo debole” – “non possiamo più pensare che questa sia una lotta della tecnocrazia contro la democrazia. Ci sono due concezioni politiche opposte di quello che dovrebbe essere l’Europa” “Sto cercando di politicizzare il dibattito con Matteo Salvini. Non mi considero un tecnocrate, mi rifiuto di farlo”.
Insomma, hanno ragione polacchi ed ungheresi ad opporsi ad un meccanismo punitivo e discrezionale, costruito su una interpretazione dei Trattati infondata, in mano a Commissari che coltivano apertamente la propria partigianeria? Sì.
Invece, Roma ha torto marcio.