Un Mario Draghi sprezzante, ma anche stanco, quello della conferenza stampa di ieri pomeriggio. Anzi, visibilmente scocciato di quelli che ai suoi occhi non sono che capricci infantili dei partiti e non dinamiche politiche fisiologiche, in un governo così composito, con l’avvicinarsi delle elezioni generali.
Primo equivoco
Il fatto è che ci sono almeno due equivoci in questa esperienza di governo. Primo, l’unità nazionale era nata un anno e mezzo fa (pare trascorsa un’epoca) per affrontare una campagna vaccinale fondamentale, alla quale il governo Conte pareva del tutto impreparato, e far cogliere al Paese l’occasione dei fondi del Pnrr per rilanciare l’economia.
Tralasciamo in questa sede ritardi e scivoloni della campagna vaccinale, e soprattutto l’obbligo surrettizio che si è deciso di imporre, e quanto sia velleitario il grande programma quinquennale di debito e sprechi chiamato Next Generation EU.
Qui ci interessa far notare che quelli e non altri erano, come enunciati dal presidente Mattarella e ricordati più volte dal premier stesso, gli scopi per cui Draghi è stato chiamato dal presidente della Repubblica a guidare un governo di unità nazionale che comprende quasi tutto l’arco parlamentare, con l’eccezione di Fratelli d’Italia e un paio di sottogruppi, Alternativa e Sinistra italiana.
Missione compiuta?
Ieri sera, alla cena della stampa estera, il premier ha rivendicato che tutti gli obiettivi del Pnrr sono centrati. Ma se è così, se non si è trattato di una frase di circostanza buttata lì per autocelebrarsi, ed essendo conclusa la campagna vaccinale (lasciamo perdere ora con quali esiti e strascichi), i compiti di Draghi dovrebbero essere considerati esauriti. Diciamo pure, volendo essere di manica larga nel giudizio, missione compiuta.
D’altronde, ricordiamo che già mesi fa, poco prima dell’apertura delle votazioni per il Quirinale, fu lo stesso Draghi ad affermare in conferenza stampa di ritenere compiuta la missione assegnatagli dal presidente della Repubblica – allora, forse, pensando con ciò di aiutare i partiti a convincersi di farlo ascendere al Colle.
Dall’eccezione all’ordinario
Tuttavia, è innegabile che da allora sono sopraggiunte ulteriori emergenze che tutti conosciamo. Il problema è che saltare di emergenza in emergenza si sta rivelando più complicato di quanto probabilmente qualcuno pensasse.
Se nell’emergenza sanitaria è stato relativamente facile trovare un comune denominatore nella necessità di vaccinare la popolazione e di non perdere i fondi europei, ora che si parla di crisi energetica e crisi economica, inflazione e guerra, per di più con elezioni politiche alle porte, trovare la cosiddetta quadra si fa più difficile.
Il punto è che se si pretende che il governo vada oltre la campagna vaccinale e le riforme necessarie ad assicurarsi i fondi del Pnrr, non siamo più nell’ambito dell’eccezione, di una “unità nazionale” per affrontare una specifica emergenza e centrare due obiettivi puntuali, ma nel campo dell’ordinario, di una vera e propria “grande coalizione” chiamata ad affrontare crisi ed emergenze che via via sopraggiungono.
Tanto è vero, che chi si trova più a suo agio sotto l’ombrello protettivo e deresponsabilizzante di Draghi non fa mistero di lavorare alla riproposizione della stessa formula di governo anche dopo le elezioni del 2023, a prescindere dal responso delle urne.
Un governo politico
Insomma, o si riconosce che i compiti del governo Draghi sono esauriti e si torna alla normale e fisiologica dialettica tra i partiti, con le loro diverse proposte politiche in competizione; oppure si ha il coraggio e la trasparenza di ammettere che il piano è cambiato, o si è evoluto, e che il governo Draghi in sé è diventato una prospettiva politica in cui i partiti che lo sostengono si riconoscono.
Arrivati a questo punto, né Draghi né i partiti possono eludere questo passaggio. O il governo Draghi è finito per esaurimento dei suoi compiti; oppure è un governo politico a tutti gli effetti, ma in quest’ultimo caso le differenze tra i partiti vanno composte politicamente, se possibile, attribuendo dignità a ciascuno – cosa che pare Draghi abbia qualche problema ad accettare.
La natura politica del governo Draghi è tra l’altro testimoniata dall’agenda di politica economica e sociale – fortemente sbilanciata a sinistra – che sta prendendo corpo. Si parla di patto sociale, salario minimo, nuovi piani di spesa e sussidi che Pd e sindacati stanno apparecchiando – nel quasi immobilismo dei partiti del fu centrodestra.
Gli strappi di Conte
Gli strappi di Giuseppe Conte non possono sorprendere, sono il tentativo di un Movimento praticamente azzerato di recuperare i consensi perduti.
Ma come ha fatto notare il premier, non a torto, la lettera del Movimento 5 Stelle consegnatagli da Conte contiene molti punti di convergenza con l’agenda di governo.
L’esito probabile degli sforzi in atto, soprattutto del Pd, con la sua “agenda sociale”, per tenere dentro Conte e i 5 Stelle è uno scivolamento ancora più a sinistra dell’indirizzo politico del governo. E com’è ovvio risuonano i campanelli d’allarme nella Lega e in Forza Italia.
Il secondo equivoco
Il secondo equivoco riguarda invece le intenzioni del presidente del Consiglio, che ci pare abbia fin dall’inizio inteso questa esperienza di governo come un’anticamera, un dazio da pagare prima di salire con tutti gli onori al Colle.
Non è andata così e il premier non ha ancora smaltito rabbia e delusione, che scarica su coloro i quali ritiene i principali responsabili: Conte e Salvini.
Non ha tutti i torti, anche se a questo punto dovrebbe aver compreso come al Quirinale il piano fosse dall’inizio la riconferma di Mattarella, e la sua chiamata a Chigi un modo elegante per mettere fuori gioco un titolato pretendente, ben sapendo che i partiti mai si sarebbero privati dell’unico collante in grado di far proseguire la legislatura.
“Chiedete a Mattarella”
In quella risposta elusiva di Draghi ieri pomeriggio, “chiedete a Mattarella” (come pochi giorni prima “chiedete a Svezia e Finlandia”), traspare una divergenza di vedute con il presidente Mattarella sulla crisi.
Sua Competenza vorrebbe andarsene, e non da oggi, e approfitterebbe volentieri di una fuoriuscita dei 5 Stelle, mentre Mattarella e i partiti lo vorrebbero incatenato fino a fine legislatura – Conte o non Conte.
Bluff e contro-bluff
Siamo convinti quindi che il governo Draghi andrebbe avanti anche senza Movimento 5 Stelle, ma lo scopriremo solo se Conte avrà il coraggio di andare a vedere le carte, di uscire dalla maggioranza.
Ieri dal premier non potevamo aspettarci altro che un “non c’è governo senza 5 Stelle”, né ci sarà un Draghi-bis in questa legislatura, per rendere credibile la minaccia del voto anticipato alle orecchie di Conte e a quelle sensibilissime dei suoi peones.
Se il Movimento 5 Stelle esce, cade tutto e si vota, si associa Letta. Nell’arco di tre giorni, Salvini ha espresso due posizioni opposte: “Il governo va avanti se fa le cose, anche senza 5 Stelle” (10 luglio); “non siamo disposti a stare in maggioranza senza 5 Stelle, se non votano il decreto Aiuti si va a votare” (13 luglio).
Bluff e contro-bluff, dunque: da una parte quello di Conte che minaccia di uscire, dall’altra quello di Draghi che minaccia fine del governo e della legislatura.
Se molto probabilmente Draghi coglierebbe al volo l’occasione di una fuoriuscita dei 5 Stelle per sfilarsi anche lui (scansando per un pelo, tra l’altro, l’iceberg in arrivo in autunno), tuttavia il suo sarebbe un desiderio difficile da realizzare contro la volontà di Mattarella e dei restanti partiti ed essendoci ancora i numeri in Parlamento.