Qualcosa non sta andando per il verso giusto nella strategia del governo Meloni per contrastare gli sbarchi.
L’ondata anomala di arrivi di questi giorni, quasi 5 mila in 48 ore, può essere dovuta alla crisi tunisina, può essere “spintanea”, favorita da qualche manina straniera, oppure il segno che l’approccio scelto non sta funzionando. È dovuta intervenire anche una nave della Marina Militare, chiamata dalla Guardia costiera viste le troppe persone da soccorrere.
Perdita di consensi
Se su questo tema il governo perderà consensi non sarà certo per le accuse lanciate dalla sinistra, nemmeno troppo velate, di aver lasciato morire i naufraghi davanti alle nostre coste, ma per l’evidenza, con il passare del tempo, dell’inefficacia delle politiche di contrasto all’immigrazione illegale.
Gli italiani non vogliono più vedere le stazioni e intere zone delle loro città come sono ridotte oggi. Simple as that.
Il talk show Meloni-giornalisti
Fatichiamo a comprendere la logica che ha indotto il presidente del Consiglio Meloni a trasformare la conferenza stampa al termine del Cdm tenuto a Cutro in un dibattito, una specie di talk show. Nonostante Mario Sechi abbia tentato fino all’ultimo di evitarlo, non ha potuto far molto di fronte all’insistenza della premier stessa nel corpo a corpo con i giornalisti.
L’unica spiegazione è che abbia voluto sfogarsi, ma non essendoci alcuna chance di convincere chi è pregiudizialmente ostile, questa insistenza nel tornare sul naufragio, o nell’accettare l’ennesima domanda su di esso, è apparsa come un segno di debolezza.
Una norma-bandiera
Ma vediamo cosa contiene – o dovrebbe contenere, visto che il testo ancora non c’è – il cosiddetto decreto Cutro.
La norma-bandiera è l’aumento di pena per gli scafisti, che rischiano una reclusione dai 20 ai 30 anni in caso di morte o lesioni gravi come conseguenza anche involontaria dei loro reati.
Come spesso accade, la misura più sbandierata è quella che più rischia di restare sulla carta. Diciamo che in questo caso, più che rischio, è una certezza. L’obiettivo del governo è “colpire non solamente quei trafficanti che troviamo sulle barche, ma anche quelli che ci sono dietro”. Giorgia Meloni ha assicurato con enfasi che l’Italia andrà a “cercare gli scafisti per tutto il globo terracqueo”.
Proposito condivisibile, ma concretamente cosa significa? Conosciamo un solo modo che potrebbe funzionare: il modo “alla israeliana”. Ma francamente dubitiamo che sia questa l’intenzione.
Si parla invece di “accordi bilaterali con i Paesi in cui la tratta viene organizzata”, offrendo come contropartita per la loro collaborazione “maggiori flussi legali”. Ma questa è una strada già tentata da quasi tutti i precedenti governi. More of the same.
Nuovo approccio in Europa
Laddove invece Giorgia Meloni sta tentando un approccio mai sperimentato prima è in Europa: ai partner Ue non chiede solo di farsi carico di una parte dei migranti che arrivano da noi, ma un’azione comune per bloccare i movimenti “primari”, nell’interesse di tutti, anche di quei Paesi del centro e nord Europa che finora sono stati più sensibili al tema dei movimenti “secondari”. La scoperta dell’acqua calda, eppure sembra che nessuno ci avesse provato prima.
Il problema però è che queste iniziative – accordi bilaterali con i Paesi di partenza e transito, e azione Ue di contrasto alla tratta – richiedono tempo.
Le espulsioni di carta
Un altro obiettivo del decreto è abbreviare i tempi delle espulsioni, eliminando la necessità di convalida del giudice di pace per l’esecuzione dei decreti di espulsione disposti a seguito di condanna. Va bene, ma concretamente come vengono poi eseguiti questi decreti? Perché stando alle numerose inchieste è proprio qui che il sistema si inceppa: l’espulsione resta su un pezzo di carta.
Stretta sulla protezione speciale
Forse la misura che potrebbe avere una efficacia più immediata è la stretta sulla protezione speciale, un istituto abusato, ampliato a dismisura dai giudici per concedere la permanenza nel nostro Paese anche a coloro che non abbiano diritto all’asilo.
Ma anche qui, bisognerà vedere il testo. Una proposta di legge a firma dei leghisti Iezzi e Molinari era stata presentata alla Camera per ripristinare i criteri fissati dal decreto Salvini, poi abrogati da Conte-Lamorgese nel 2020. Temiamo tuttavia che occorra una limitazione ancora più radicale e molto molto specifica di questo strumento, per evitare che continui a fornire una scappatoia per chi entra illegalmente e non ha diritto all’asilo.
Approccio troppo timido
Non ci pare tuttavia di scorgere nel decreto Cutro qualcosa di risolutivo. Da anni quello di Giorgia Meloni è il partito del “blocco navale”, eppure dopo cinque mesi non ha avuto il coraggio nemmeno di concepire una missione per la Marina Militare.
Promettenti sembrano le interlocuzioni con il premier olandese Rutte e quello polacco Morawiecki. Ma davvero l’Italia per pattugliamenti e respingimenti davanti alle sue acque territoriali deve aspettare le corvette olandesi e polacche?
In generale, ci sembra un approccio poco ambizioso, come sui temi legati al cambiamento climatico, troppo timoroso di rompere qualche tabù e di attirarsi le scomuniche dei benpensanti e degli umanitari (con i quartieri degli altri).
Modelli
Esistono modelli che potremmo adottare anche subito, se solo lo volessimo, come quello australiano o quello annunciato nei giorni scorsi dal premier britannico Rishi Sunak, di cui abbiamo parlato su Atlantico Quotidiano. Come ha spiegato Stefano Magni, la stretta Uk varrebbe almeno per gli immigrati che arrivano illegalmente da Paesi sicuri (praticamente, esclusa solo la Libia) – e non sono pochi.