Populismo aleatorio, ma il sovranismo è destinato a durare

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Archiviato il clamore dell’incontro Orban-Salvini e, di conseguenza, anche la rappresentazione semplicistica data dai media mainstream nostrani, lo sguardo della politica internazionale si posa sulle prossime elezioni europee del maggio 2019, dove è facile prevedere una vittoria dei movimenti anti-establishment sul Pse e sul Ppe.

Sulla scia delle presunte nuove alleanze europee, è utile specificare anche l’essenza della maggioranza penta-leghista che guida il nostro Paese, composta da un partito populista (il M5S) e uno sovranista (la Lega-Salvini Premier). Finiti nello stesso calderone della classificazione politico-partitica causa pigrizia degli entomologi nostrani, in realtà la Lega e i 5 Stelle muovono gli stessi passi, ma con toni, linguaggio e constituencies totalmente diversi, dando adito a una rivisitazione dei due termini con i quali sono maggiormente etichettati.

Il M5S è un partito populista, che esprime la sua posizione politica con l’antipolitica e la formula “non siamo né di destra, né di sinistra”. Storicamente il modello più aderente al loro modus operandi è quello di Juan Domingo Peron, leader del Partito Giustizialista, e presidente dell’Argentina negli anni ’50. Come chiamare il decreto legge Bonafede, se non giustizialista? E le polemiche contro i Benetton dopo il crollo del ponte di Genova dello scorso 14 agosto? Il movimento peronista si divise ben presto al suo interno in due correnti, una di sinistra e una di destra, che si combatterono aspramente per anni. Non è difficile vedere nel M5S una simile implosione con l’ala sinistra, capeggiata dal presidente della Camera, Roberto Fico, insofferente all’attuale coalizione di governo con i sovranisti, e un’ala destra governista guidata al capo politico del Movimento, Luigi Di Maio. In Italia, antesignano del populismo pentastellato è stato il qualunquismo di Guglielmo Giannini (oscillante, a sua volta, tra destra e sinistra).

Il populismo viene anche accreditato – e vieppiù confuso – da molti come un movimento che nasce dal basso, per rappresentare il popolo. Insomma, quello che, in realtà, si chiama popolarismo. Molti politologi e studiosi vedono nel cleavage populismo/élite, la nuova tendenza dicotomica delle democrazie, una linea di faglia talmente forte da eclissare la novecentesca differenziazione tra destra e sinistra, e conservatori e progressisti. Dopo la Brexit e l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti questo filone ha preso sempre più forza. Ma la debolezza del populismo è tale per cui i suoi rappresentanti – che si vantano da sempre di essere gli unici interpreti della volontà popolare – una volta eletti in Parlamento, diventati ministri e maître-à-penser nei media, diventano essi stessi élite, pronti a essere impallinati e rimpiazzati da nuovi populisti. Cani che si mordono la coda in uno zero sum game per i sistemi politici e le istituzioni democratiche.

Di ben altra stoffa è il sovranismo, che ingloba alcuni aspetti del populismo (come tutti i movimenti politici delle democrazie, peraltro). Orban, Salvini, Le Pen, Wilders, Akesson non sono altro che gli ultimi interpreti di un patriottismo radicato nelle masse e che ha preso diverse forme nel Novecento. Il sovranismo fa leva sul sentimento di comunità e di esclusività degli stati-nazione, andando a toccare nervi sensibili presso le popolazioni come l’immigrazione (declinata in termine di difesa dei confini), l’amore per la patria e le sue tradizioni (che può andare, in Italia, dal cattolicesimo alle tradizioni culinarie nostrane), la paura di una criminalità da combattere attraverso l’esaltazione del ruolo delle forze dell’ordine. Mentre il populismo, e soprattutto i populisti, hanno una vita molto più aleatoria, il sovranismo è destinato a stare tra noi, piaccia o non piaccia, perché sentimento maggioritario tra le masse democratiche moderne.

Il sovranismo è la nuova forma dominante di quell’ideologia moderata che in Italia ha espresso prima De Gasperi e il Pentapartito, e successivamente Berlusconi. Tra le varie sfumature del moderatismo italiano, seppur minoritarie, troviamo anche le tendenze liberal-conservatrici di Roberto Lucifero, il gollismo democristiano di Bartolo Ciccardini e Antonio Segni, l’Europa delle patrie missina di Antonio Daniele e, infine, l’anti-antifascismo della “maggioranza silenziosa”. Anche se l’uso dei social fa sembrare tutto molto liquido e in perenne evoluzione, Salvini si è incardinato su una piattaforma ben più solida dei 5 Stelle, interpretando in chiave nostalgica – ma con un uso spregiudicato delle nuove tecniche di comunicazione politica – umori, conati e sensazioni della stragrande maggioranza degli italiani.

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