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Il “populismo liberale” di Pim Fortuyn: un leader da non dimenticare

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Ieri, 6 maggio, è caduto il sedicesimo anniversario della morte di Pim Fortuyn. Chi era? E’ stato l’eccezionale leader olandese assassinato nel 2002 da un estremista di sinistra, e fondatore di una lista – poi sfaldatasi dopo la sua morte – capace di movimentare la politica dei Paesi Bassi, e da lui condotta a impensabili successi elettorali.

In tanti, in patria e fuori, cercarono di appiccicargli l’etichetta di estremista, di Haider o di Le Pen olandese. E la mostrificazione, in Italia, colpì (perfino in luoghi “laici” e “liberali” teoricamente insospettabili…) chiunque osasse proporre una lettura diversa del suo fenomeno. A mio avviso, infatti, Fortuyn incarnò un modello tutto diverso rispetto alla caricatura estremista che i suoi odiatori gli appiccicarono in vita e post mortem.

Era chiaramente un uomo di destra, certo: ma fautore di una linea liberale e laica. La sua vera lezione sta nel modo in cui condusse le campagne contro l’immigrazione incontrollata e contro l’estremismo islamico: non adducendo ragioni razziste, che anzi respingeva con sdegno, ma proprio in nome delle ragioni della tolleranza olandese, in nome della cultura e del sistema di valori occidentale, in nome della constatazione del rifiuto di integrarsi delle comunità islamiste più radicali, in nome della necessità di non cedere al fondamentalismo ma di contrapporre ad esso le bandiere occidentali della libertà, della democrazia, del rispetto di ogni scelta personale.

Magistrali le sue campagne contro il multiculturalismo, inteso come (impossibile e dannosa) integrazione di comunità, contro l’idea di lasciare a queste comunità spazi e territori sottratti alla legge (o affidati a una legge diversa, ai precetti dell’islamismo estremista). E a maggior ragione azzeccata la sua insistenza sull’integrazione individuale, e quindi sul necessario rispetto, da parte di chi arriva, di regole e principi liberali.

Poi, su un altro piano, Fortuyn aveva compreso prima di altri un punto che oggi è chiaro alla gran parte dei partiti liberal-conservatori occidentali (purtroppo non in Italia): l’elettorato che è liberale in economia ha ottime chances di essere liberale e aperto, o comunque tollerante, anche sul terreno delle libertà personali. L’Olanda è certamente diversa dall’Italia, ma scelte di questo tipo vanno affermandosi quasi ovunque nei partiti occidentali di centro-destra: dunque, pure qui, non avrebbe senso restare inchiodati a posizioni confessionali o dogmatiche (peraltro, come attestano innumerevoli analisi e sondaggi, assolutamente minoritarie nell’elettorato), ed è invece più saggio caratterizzarsi per un approccio più liberale e aperto.

Quindi, può esserci un “populismo liberale” a tutto tondo, durissimo su immigrazione incontrollata e ordine pubblico, indefettibilmente occidentale, liberale e pro mercato in economia, e non regressivo in materia di libertà personali e diritti civili. Quell’esperimento olandese indica una strada: peccato che così pochi se ne siano accorti e abbiano voluto provare a percorrerla anche altrove.