Povera Francia, la grandeur è un ricordo lontano

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Noi italiani, di fronte ai disservizi pubblici e ai fallimenti della politica, siamo soliti esclamare: “Povera Italia!”. Purtroppo questo capita spesso e le ragioni della frustrazione sono quasi sempre fondate. Ma anche i nostri cugini d’oltralpe, ovvero i francesi, dovrebbero iniziare, se non l’hanno già fatto, a considerare “povera”, a compatire insomma, la loro nazione. Com’è storicamente noto, i francesi sono in genere più orgogliosi di noi, dal punto di vista nazionale e patriottico, fino a rasentare la superbia, ma l’attuale situazione politica e sociale francese non è delle più esaltanti ed impone un certo realismo. Vogliamo riferirci ai problemi esclusivamente interni della Francia. L’infame attentato di Strasburgo, che è anche una città francese, oltre ad essere sede del Parlamento europeo, è stato un atto di aggressione, come tutti i precedenti attacchi di matrice islamica, rivolto non solo a Parigi o all’Ue, come osserva il presidente Tajani, bensì alle democrazie e al mondo libero in generale. Pur con una certa antipatia strisciante e reciproca che attraversa le Alpi italo-francesi, non possiamo non riconoscere l’importanza che la Francia ha avuto e probabilmente continuerà ad avere in Europa e nel mondo, tuttavia, al tempo stesso, notiamo come i nostri cugini abbiano, pure loro, più di una gatta da pelare.

Innanzitutto, si ritrovano un presidente che si sta rivelando sempre più inadeguato al cruciale ruolo che ricopre. Incensato all’inizio, anche in Italia, come salvatore dell’Unione europea ed argine efficace per tutti i populismi. Doveva interpretare una risposta dell’Ue più moderna e convincente del vecchio establishment continentale, capace di fermare le avanzate elettorali delle Le Pen e dei Salvini. Invece, il super Macron è diventato micron, ovvero un nano politico che non riesce più ad accontentare nessuno, nemmeno quando innesta la retromarcia e ritratta ciò che aveva deciso qualche ora prima. Emmanuel Macron, un po’ come il nostro Renzi, è riuscito a dilapidare il proprio consenso elettorale in un tempo piuttosto breve e senza dubbio non gli conviene, per come è messo in questo frangente, continuare a fare lo sbruffone, per esempio, con il governo italiano, pur con tutti i limiti del Belpaese, che qui su Atlantico conosciamo bene.

Anche l’ormai ex-enfant prodige di Parigi deve trattare con l’Ue sullo sforamento del deficit da parte francese, quasi come Salvini e Di Maio. La situazione economico-finanziaria francese è meno problematica di quella italiana, però non si potrà sforare all’infinito nemmeno al di là delle Alpi. Il ricorso ad ulteriore deficit avviene peraltro per cercare di soddisfare le richieste dei gilet gialli, vale a dire il movimento di protesta popolare che sta mettendo a dura prova l’ordine pubblico in Francia. Quindi, altro deficit è un po’ un’ammissione di debolezza della politica macroniana. Il tentato aumento del prezzo del carburante è stato il motivo scatenante delle prime manifestazioni dei gilet gialli, ma questo movimento, forse ancora un po’ contraddittorio ed indecifrabile per alcuni aspetti, deve rappresentare in qualche modo una rabbia ben più ampia e radicata. Macron si è rimangiato anzitutto l’aumento del prezzo del carburante e poi ha fatto una serie di promesse, da qui lo sforamento del deficit, ma ciò non sta servendo a nulla poiché gli attivisti dei gilet non intendono porre fine alle proteste di piazza.

Prima di scendere a patti, il presidente francese ha reagito in modo surreale, dimostrando tutta la sua pochezza e irritando ancor più della gente già abbastanza incavolata per conto proprio. Ha invitato i francesi ad acquistare un’auto elettrica se ritengono troppo caro il carburante, quando persino i più impegnati, in buonafede o meno, sul fronte dell’ambiente sanno benissimo quanto i veicoli totalmente “green” siano ancora poco diffusi a livello popolare e ciò vale in tutto il mondo. Sconnessione allarmante dalla realtà, un po’ come la regina Maria Antonietta che esortava, secondo la vulgata, il popolo a sfamarsi con le brioche, in assenza del pane. Non molte settimane fa circolavano addirittura voci su un presunto esaurimento nervoso del presidente, ma c’è da sperare che un leader, a maggior ragione di un Paese importante come la Francia, sappia prendere sul serio un suo problema di salute.

Oltre all’auto elettrica che tutti i francesi dovrebbero avere, vi sono state altre uscite inquietanti da parte di Emmanuel Macron. L’inquilino dell’Eliseo vede l’ipotetico esercito comune europeo come una forma di difesa non solo da Cina e Russia, bensì anche dagli Stati Uniti d’America. Infine, per quanto concerne le tensioni legate ai gilet gialli, Macron sente puzza di interferenze straniere come un dittatorello in preda a manie persecutorie, come un Nicolas Maduro qualsiasi. Se queste non sono esternazioni folli, beh, poco ci manca. La mediocrità all’Eliseo non nasce comunque oggi con Emmanuel Macron, perché pure i suoi predecessori più recenti non hanno brillato. Se andiamo a rivedere un po’ di storia della Francia contemporanea, rimaniamo basiti da come questo Paese, mai marginale per ovvie ragioni, non esprima più grandi leader da molti anni. Dalla metà degli anni Novanta, più nessun presidente è riuscito ad eguagliare, non diciamo Charles De Gaulle, ma almeno Valéry Giscard d’Estaing, uomo di grande cultura e poliglotta che teneva banco in tutti i summit internazionali. Nemmeno il livello di Francois Mitterrand è stato mai raggiunto. Il presidente socialista non era sicuramente un modello per i liberali, ma aveva carisma e doti da statista. Da Jacques Chirac fino ai giorni nostri, la qualità dei capi di Stato d’oltralpe si è via via abbassata. Chirac, con il suo sodale tedesco Schroeder, si sottrasse vigliaccamente alla guerra al terrorismo, resasi inevitabile dopo la tragedia immane delle Torri Gemelle di New York. Quando uscì dall’Eliseo, erano lì ad attenderlo diverse inchieste giudiziarie. Giunse poi al potere il rampante ed energico Nicolas Sarkozy che in effetti iniziava il proprio mandato in maniera promettente. Sarkozy mostrava attenzione verso la sicurezza dei francesi e puntava a nuove relazioni con gli Usa, dopo la freddezza degli anni di Chirac. Ben presto però si rivelò più arrogante che efficiente, attirando a sé molte antipatie, in patria e all’estero. Sono rimasti alla storia i suoi sorrisini da supponente, scambiati con Angela Merkel, che miravano a sfottere l’Italia di Berlusconi. E storiche sono anche le sue responsabilità nel pasticcio libico. Non è stato di per sé un errore estromettere Muhammar Gheddafi, il quale, parliamoci chiaro, era tutto fuorché un brav’uomo, ma se si decide di entrare pesantemente nel destino di un Paese, poi bisogna preoccuparsi della gestione del dopoguerra, cosa che non è stata fatta invece né dalla Francia di Sarkò né dall’America di Obama. Tuttora la Libia paga le conseguenze di quella scelleratezza. Anche Nicolas Sarkozy ha terminato la propria carriera politica attraverso problemi con la giustizia e persino un arresto. Dopo l’iperattivo, ma fondamentalmente inefficace Sarkozy, è stato il turno del mesto Francois Hollande la cui parentesi di presidente è stata caratterizzata dalla mediocrità. Come si evince, non è tanto un problema di destra o di sinistra, perché sia i conservatori Chirac e Sarkozy che il socialista Hollande, senza dimenticare il centrista Macron, hanno lasciato tutti dei ricordi non proprio felici. In passato la cosiddetta grandeur francese prevedeva sì una certa indipendenza dalle decisioni americane, ma non voleva nemmeno altri padroni. Invece, da Chirac a Macron, la Francia ha sempre seguito la Germania, prima con Schroeder e poi con Angela Merkel, come un cagnolino. Davvero, povera Francia!

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