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Presidenzialismo, maggioritario e Titolo III: riforme strutturali e decisive per la crescita

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Il centrodestra italiano ha un obiettivo ben preciso dopo la partita per il Quirinale: farsi trovare pronto per le elezioni politiche che si svolgeranno nel 2023. 

Premessa: la politica italiana è ormai egemonizzata dalla tanto competente quanto ingombrante figura del premier Draghi, ma è indispensabile che i tre partiti principali del centrodestra – insieme a tutte le altre realtà – capiscano cosa voler fare “da grandi”. Le elezioni sono alla portata e sarebbe un errore imperdonabile farsele scappare. 

È un peccato, però, non sentire dai leader la proposta di una grande, chiamiamola volgarmente, “ristrutturazione costituzionale”. Sarebbe, forse, un motivo in più per spingere al voto i tanti possibili astenuti.

Insomma, chiediamoci perché l’Italia è il Paese che cresce (o cresceva, ma il discorso non cambia) meno tra le nazioni europee. Non possono trovar spazio né motivazioni complottistiche, né bancarie o finanziarie: il nostro Paese soffre di disfunzioni dovute a specifici aspetti da riformare, che possono essere migliorati solo da un governo di centrodestra, liberale e repubblicano. 

Vogliamo lanciarvi qui, cari lettori, tre “pillole” su cui riteniamo che i partiti di centrodestra dovrebbero iniziare a discutere. Presidenzialismo, sistema elettorale maggioritario e una radicale revisione della parte economica della Costituzione. È l’ora di affrontare temi strutturali e decisivi per la crescita del sistema Italia. 

Primo. Presidenzialismo. Già in Assemblea costituente, Piero Calamandrei, giurista, politico ed azionista per eccellenza, sosteneva la necessità di adottare questo sistema per una ragione fondamentale: il presidenzialismo condiziona i partiti, il parlamentarismo ne è condizionato. 

Il sistema presidenziale è essenziale soprattutto per quei Paesi, come il nostro, caratterizzati dalla presenza di numerosi movimenti, spesso ideologicamente lontanissimi, capaci di far sfumare la nascita di un governo stabile che porti a termine gli obiettivi prefissati nel programma elettorale.

I dati parlano chiaro. Dalla nascita della Repubblica si sono succeduti 67 governi in soli 75 anni. Una media di poco più di un anno ad esecutivo. Rispetto alla Francia presidenzialista, per esempio, abbiamo avuto il triplo dei presidenti del Consiglio (30) dal 1946 ad oggi.

Da questo punto di vista, Piero Calamandrei fu profetico: “Nel sistema presidenziale, è più facile che si formi una coalizione che abbia probabilità maggiore di essere più stabile di quella illusoria nella Repubblica parlamentare”.

Secondo. Inserimento in Costituzione del sistema elettorale maggioritario. Chi vince è sicuro di governare per l’intera legislatura, a meno di stravolgimenti interni alla coalizione o al partito al governo. 

Certo, i contrari al maggioritario diranno che non è un sistema perfettamente democratico perché fondato sul “chi vince, prende tutto”: ma crediamo davvero che il condizionamento di partiti dal 3 per cento in Parlamento sia un esempio di democrazia? È esempio di democrazia che Roberto Speranza, leader di un partito dal 3,1 per cento ed eletto con poco più di 3.900 preferenze, possa vincolare la vita di 60 milioni di italiani a colpi di lockdownGreen Pass e obblighi vaccinali?

Inoltre, il maggioritario sarebbe in grado di aiutare sia la destra che la sinistra. Permetterebbe di creare due distinti poli, un grande centrodestra che unisca i tre grandi partiti e tutte le altre forze minoritarie, contrapposto ad un grande centrosinistra formato da Pd, Movimento 5 Stelle e dalle altre sigle, ma senza partitini capaci di bloccare o, ancora peggio, in grado di far cadere un intero esecutivo. 

Terzo. Revisione del Titolo III sui rapporti economici. Il pensiero liberista è stato il grande assente durante la stesura della parte economica della Carta del ’48. Nonostante la presenza di una personalità autorevole Luigi Einaudi, che poi diventerà il primo presidente della Repubblica italiana, la nostra Costituzione è il frutto del contagio dell’ideologia pianificatrice e centralista tipica del socialismo. Esempi lampanti ne sono gli art. 41 e 47.

In riferimento all’art. 41, un intervento liberista potrebbe consistere nella rimozione del principio di utilità sociale a cui deve essere destinata l’iniziativa economica privata – principio decisamente vago e generico che rischia di accentrare la proprietà privata in mano statale senza limiti – sostituendolo con la disposizione: “La legge regola l’esercizio dell’attività economica al fine di difendere gli interessi e la libertà del consumatore”. Così come avrebbe voluto l’onorevole Cortese in Assemblea costituente, ma ignorato.

Un altro intervento opportuno potrebbe riguardare l’ultimo comma, eliminando la programmazione statale dell’attività economica per mantenere solo la funzione di arbitro e controllore. In definitiva: “L’iniziativa economica privata è libera. La legge determina i controlli opportuni e regola l’esercizio dell’attività economica al fine di difendere gli interessi e la libertà del consumatore. Non può recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.”

Riguardo l’art. 47, invece, dovrebbe essere rivisto il primo comma secondo cui la Repubblica si obbliga alla disciplina, al coordinamento ed al controllo dell’esercizio del credito.

In virtù della nascita prima della CEE (Comunità Economica Europea) e poi dell’Ue, oltre ad una forte espansione del libero mercato grazie alla globalizzazione, la Repubblica dovrebbe limitarsi alla difesa ed alla tutela del risparmio popolare, senza alcuna forma di centralizzazione e pianificazione.

Il modello da attuare dovrebbe essere quello dell’anglosassone “investment trust”, un fondo comune di investimento capace di mutare gli investimenti in relazione alle tendenze del libero mercato, garantendo stabilità ed il più alto vantaggio economico possibile al risparmiatore. In definitiva: “La Repubblica tutela il risparmio popolare e tutte le sue forme. Favorisce l’accesso, attraverso organi di concentrazione del risparmio, alla proprietà privata dell’abitazione, alla proprietà di coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario dei grandi complessi produttivi del Paese”.

Non crediamo di proporre riforme impossibili. Si tratta di mero buon senso riconoscere che il nostro Paese necessita di una grande ristrutturazione costituzionale perché è completamente fermo ormai da decenni. Inoltre, permetterebbero di dare un segnale chiaro ai cittadini: il centrodestra italiano è maturo per guidare un nuovo Rinascimento italiano.