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Prosegue la normalizzazione comunista a Hong Kong: ora tocca alla stampa libera

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Prosegue a ritmo serrato la “normalizzazione” comunista del regime di Pechino a Hong Kong. A farne le spese, questa volta, sono direttore e amministratore delegato di Apple Daily, quotidiano pubblicato – in cinese e inglese – nella ex colonia britannica.

Dopo la condanna del magnate dei media Jimmy Lai, anche il direttore di Apple Daily, Ryan Law, e l’amministratore delegato Cheung Kim-hung, sono stati arrestati nel corso di un blitz nella sede del quotidiano condotto da ben 500 agenti. Ai due, subito condotti in tribunale, è stata negata la libertà su cauzione.

Gli agenti della polizia irrompono nella sede di Apple Daily

Secondo il giudice, ovviamente allineato con la nuova “legge sulla sicurezza nazionale” voluta da Pechino, sussistono buoni motivi per pensare che Ryan Law e il suo collega, se liberati, continuerebbero a commettere atti tali da mettere in pericolo la suddetta sicurezza nazionale.

Chi ha avuto modo di visitare Hong Kong quando l’ex colonia britannica era ancora un territorio relativamente libero e autonomo, con una stampa indipendente e la possibilità – negata in Cina – di accedere ai social network occidentali, sa che v’erano allora due giornali indipendenti. Il più famoso, il South China Morning Post, era posseduto dal celebre miliardario Jack Ma, fondatore e padrone di Alibaba, colosso dell’e-commerce in grado di fare concorrenza ad Amazon.

Membro del Partito comunista come tutti i tycoon cinesi, Ma ha però commesso l’imprudenza di criticare la politica economica e bancaria del Partito-Stato, e tanto è bastato per indurre Xi Jinping ad affossarlo imponendogli di pagare un’enorme multa e privandolo, in pratica, del controllo di Alibaba. Risulta che Jack Ma sia ancora libero, anche perché in un’intervista ha ammesso le sue “colpe” dichiarando che il Partito ha ragione. Non si sa, però, fino a quando riuscirà a circolare a piede libero.

Per esperienza personale posso dire che era molto piacevole ricevere una copia del South China Morning Post in albergo, giacché il giornale pubblicava spesso articoli critici nei confronti del governo e un’ottima rassegna della stampa internazionale. Tutto questo è finito, e il quotidiano è diventato – al pari di ogni altro – un megafono delle posizioni ufficiali di Pechino, perdendo qualsiasi tratto di autonomia.

Ora tocca per l’appunto al secondo giornale indipendente, Apple Daily. Quest’ultimo appartiene (o, meglio, apparteneva) al ricco imprenditore Jimmy Lai. Lai si era distinto per il suo esplicito appoggio alle oceaniche manifestazioni dei cittadini a favore dell’autonomia di Hong Kong, e non esitava ad attaccare il governo comunista cinese in modo esplicito.

L’arresto di Jimmy Lai

Cala così un silenzio tombale sulla stampa libera della città-isola. La vera sorpresa, tuttavia, l’hanno fornita i cittadini. Apple Daily tirava una media di 80 mila copie giornaliere. Dopo l’irruzione della polizia la redazione è riuscita a distribuire nelle edicole 500 mila copie, ed è stato un successo inimmaginabile. Il giornale è infatti andato a ruba finendo presto esaurito.

Dunque gli abitanti di Hong Kong hanno di nuovo espresso la loro più completa opposizione alla politica di Xi Jinping e dei suoi tirapiedi nella ex colonia britannica. Affrettandosi ad acquistare tutte le copie di Apple Daily disponibili hanno così chiarito, una volta di più, di non voler vivere sotto un regime comunista, ribadendo il loro desiderio di libertà di parola e di stampa. Una libertà garantita dai vituperati colonialisti inglesi, e negata dai comunisti cinesi in teoria alfieri del progresso.

Per quanto ci riguarda, è preoccupante che in Italia l’appoggio alle politiche cinesi giunga non solo dai soliti grillini, ma anche da personalità quali Massimo D’Alema e Romano Prodi.

Si spera solo che il premier Draghi e il nostro governo – e, perché no, anche i nostri media che hanno siglato accordi con i media di Stato cinesi – assumano una posizione decisa al riguardo, pur essendo molti politici e imprenditori nostrani titubanti a causa dell’ampiezza dell’interscambio commerciale Italia-Cina.

Ma la libertà non ha prezzo, soprattutto quando viene negata in un modo così plateale. In assenza di risposte, è prevedibile che il Partito comunista cinese si sentirà libero di puntare su Taiwan, nonostante anche in quel contesto i cittadini abbiano più volte ribadito di voler continuare ad essere liberi.